La sentenza “Mascolo” della Corte costituzionale
di
Vincenzo De Michele e Sergio Galleano
SOMMARIO: 1. La riforma costituzionale a Costituzione “invariata” del Giudice delle leggi nella sentenza n.187/2016 e nelle contestuali ordinanze nn.194 e 195/2016. – 2. L’applicazione “delimitata” della sentenza Mascolo della Corte di giustizia nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale. – 3. L’applicazione “funzionale” della sentenza Mascolo nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale: la stabilizzazione “coattiva” dei docenti precari. – 4. La nozione di docente precario da stabilizzare nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale. – 5. I docenti abilitati PAS e TFA e gli altri docenti precari con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto: estensione ope legis delle misure di stabilizzazione. – 6. I docenti abilitati PAS e TFA e gli altri docenti precari con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto: applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Le sentenze n.146/2013 e n.192/2016 della Corte costituzionale. – 7. Il risarcimento del danno in forma specifica per il personale ata escluso dal piano straordinario di immissione in ruolo. Le nuove assunzioni a tempo indeterminato “iussu iudicis” per l’anno scolastico 2016/2017. – 8. L’estensione della misura della stabilizzazione a tutto il precariato pubblico, anche non scolastico, nell’ordinanza n.195/2016 della Corte costituzionale sui docenti precari dei Conservatori di musica. La sanzione adeguata dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 al punto 55 della sentenza Mascolo della CGUE. – 9. L’ordinanza di rinvio pregiudiziale UE del Tribunale di Trapani sull’inadeguatezza della sanzione solo risarcitoria “scoperta” dalle Sezioni unite della Cassazione. – 10. La continuità “innovativa” della giurisprudenza della Corte costituzionale sul reclutamento scolastico e nelle pubbliche amministrazioni in generale. – 11. La stabilizzazione in via ordinaria del precariato scolastico con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e l’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013: la leale cooperazione dello Stato italiano (Governo Letta). – 12. Il piano “straordinario” di immissioni in ruolo nelle intenzioni del Governo Renzi prima della legge n.107/2015: la sleale cooperazione dello Stato italiano nei confronti dei suoi cittadini/lavoratori. – 13. Assegnazione definitiva per tre anni nell’albo territoriale del personale docente assunto con il piano straordinario di immissione in ruolo nell’art.8 del D.D.L. n.2994 sulla “Buona scuola”. – 14. Il Contratto collettivo nazionale integrativo sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie del 13 maggio 2015. – 15. La legge n.107/2015 e il “nuovo” piano straordinario di immissioni in ruolo. L’assegnazione definitiva di sede ai nuovi assunti con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015. – 16. I concorsi nulli del 2016, per violazione dell’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013. – 17. Il MIUR continua ad assegnare supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche “nulle” per l’anno scolastico 2015/2016. – 18. La definitività al 1/9/2015 dell’assegnazione della sede di immissioni in ruolo in prova: i dati normativi nel T.U. sulla scuola, nella legge n.107/2015 e nel CCNI del 13 maggio 2015. – 19. La riforma della “Buona scuola” e la mobilità professionale straordinaria per l’anno scolastico 2016/2017 nel CCNI dell’8 aprile 2016. – 20. Conclusioni: il dialogo diretto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ha rafforzato la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari, in contrasto con le Istituzioni interne preposte alla funzione legislativa e al governo della cosa pubblica.
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- La riforma costituzionale a Costituzione “invariata” del Giudice delle leggi nella sentenza n.187/2016 e nelle contestuali ordinanze nn.194 e 195/2016
Il 20 luglio 2016 sono state depositate le tre decisioni della Corte costituzionale[1] che hanno risolto le questioni di legittimità costituzionale sui docenti e personale ATA del Comparto Scuola e su quello dei docenti dei Conservatori di musica, sollevate dai Tribunali di Roma[2], Lamezia Terme[3] e Trento[4], tutte discusse all’udienza pubblica del 17 maggio 2016 ad eccezione di quella sui professori di musica del Comparto AFAM (riservata nella camera di consiglio del 18 maggio 2016 per mancata costituzione delle parti nel giudizio principale) e tutte decise dalla Corte il 15 giugno 2016.
Potremmo, in definitiva, più correttamente parlare del combinato disposto di tre provvedimenti contestuali e coordinati della Corte costituzionale:
- la sentenza n.187/2016 sulle quattro ordinanze dei Tribunali di Roma e Lamezia Terme sui precari della scuola, tra cui un collaboratore scolastico, con la declaratoria di incostituzionalità “limitata” dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999, che viene pronunciata dopo che la stessa la Corte costituzionale sugli stessi incidenti di costituzionalità aveva sollevato due questioni pregiudiziali Ue con l’ordinanza n.207/2013[5] (all’esito dell’udienza pubblica del 27 marzo 2013), risolte dalla sentenza Mascolo[6] della Corte di giustizia (all’esito dell’udienza pubblica del 27 marzo 2014); sentenza n.187/2016 adottata dopo l’inatteso rinvio della 1ª udienza di discussione del 23 giugno 2015, quando il Giudice delle leggi ha scelto, su probabile e saggia sollecitazione del Presidente della Repubblica, di attendere (all’epoca) l’entrata in vigore della legge n.107/2015 per risolvere una parte significativa del problema del precariato scolastico;
- l’ordinanza n.194/2016, che ha deciso su due (ordinanze nn.32 e 34/2014 Reg.Ord.) delle cinque ordinanze[7] del Tribunale di Trento sui precari della scuola alle dipendenze della Provincia autonoma, per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 e dell’art.93, commi 1 e 2[8], della legge provinciale n.5/2006, già dichiarate inammissibili dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.206/2013 (ordinanze nn.32-130/2012 Reg.Ord.) e riproposte pedissequamente dal Giudice del lavoro senza cogliere le indicazioni del Giudice delle leggi;
- l’ordinanza n.195/2016, che ha deciso sull’ordinanza n.33/2014 Reg.Ord. del Tribunale di Trento sui precari dei Conservatori di musica del Comparto Afam, che riproduce esattamente identica ordinanza n.91/2012 Reg.Ord. di legittimità costituzionale dell’art.2, comma 6[9], della legge n.508/1999, già dichiarata inammissibile dal Giudice delle leggi con l’ordinanza n.206/2013.
Se non si leggono, in combinato disposto, tutte e tre le decisioni del 20 luglio 2016 della Consulta e non si rileggono, sempre in combinato disposto tra di loro e con le pronunce “finali” del Giudice delle leggi, le due ordinanze nn.206 e 207 del 2013 della Corte costituzionale, pare impossibile comprendere la complessità e difficoltà della situazione processuale in cui la Corte delle leggi si è trovata ad operare, senza alcuna collaborazione da parte dei Giudici del lavoro (e non solo del Tribunale di Trento) e della Cassazione, meno che mai si riesce a cogliere in pieno la grandezza della sentenza n.187/2016 del Giudice delle leggi e la sua efficacia rivoluzionaria nel sistema delle fonti delle diritto eurounitario, che peraltro si pone in continuità, nonostante le apparenze, non soltanto con la giurisprudenza costituzionale che si è occupata, in precedenti pronunce, del sistema di reclutamento pubblico scolastico disciplinato dal D.Lgs. n.297/1994 (ordinanza n.251/2002[10]; sentenza n.89/2003[11]; sentenza n.41/2011[12]; sentenza n.146/2013[13]), nessuna delle quali citata nelle decisioni del 2016, ma soprattutto con la sentenza n.260/2015[14], con cui il Giudice delle leggi per la prima volta “applica” la sentenza Mascolo della Corte di giustizia, consentendo al giudice del rinvio la conversione a tempo indeterminato di contratti a tempo determinato illeciti perché privi di ragioni oggettive nel pubblico impiego, trattandosi di rapporti di lavoro alle dipendenze di Enti pubblici non economici come le Fondazioni lirico-sinfoniche.
- L’applicazione “delimitata” della sentenza Mascolo della Corte di giustizia nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale
Se, infatti, la centralità della sentenza Mascolo nella soluzione del precariato scolastico è affermata con forza e puntualità di argomentazioni nella sentenza n.187 della Corte costituzionale per quanto riguarda l’accertamento dell’«illecito comunitario», l’attestazione che la decisione del 26 novembre 2014 della Corte europea costituisce ius superveniens nell’ordinamento interno la ritroviamo soltanto nelle due ordinanze del Giudice delle leggi n.194 sui precari della scuola e n.195 sui docenti dei Conservatori di musica: «secondo il costante orientamento di questa Corte, «i princìpi enunciati dalla Corte di giustizia, riguardo a norme oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno con il valore di ius superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quelle norme conservano efficacia e devono essere applicate anche da parte del giudice a quo» (ordinanze n. 80 del 2015, n. 124 del 2012 e n. 216 del 2011).».
In effetti, la Corte costituzionale, applicando le conclusioni[15] della sentenza “Mascolo” della Corte di giustizia, con la sentenza n.187/2016 innanzitutto ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino», anche perché la Corte di giustizia Ue, proprio per rispettare il ruolo del Giudice delle leggi che aveva proposto le istanze pregiudiziali nella causa C-418/13, si è rifiutato sul precariato scolastico di dare quelle risposte – sui quesiti posti dal Tribunale di Napoli nelle cause riunite C-22/13, C-61/13 e C-62/13[16] sia sull’applicazione diretta della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sia sull’art.47 della Carta dei diritti fondamentali – che avrebbero consentito la disapplicazione delle norme che impedivano l’operatività della sanzione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001, cioè l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 non era scontata e, sicuramente, non era nelle intenzioni della Corte costituzionale, che si era affidata alla ritrovata “saggezza” del legislatore nazionale, attraverso il coordinato piano di stabilizzazione “in via ordinaria” del personale precario della scuola pubblica previsto dal Governo Letta con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e con l’art.15, comma 1, D.L. m.104/2013 (v. infra).
La conferma che la Corte costituzionale avrebbe dovuto e voluto, dopo la sentenza Mascolo, semplicemente rimettere ai due giudici del rinvio (Tribunali di Roma e di Lamezia Terme) le cause su cui avevano sollevato l’inammissibile incidente di costituzionalità, senza nessuna declaratoria di illegittimità dell’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 la riscontriamo nell’ordinanza n.194/206, in cui il Giudice delle leggi non esprime la censura di incostituzionalità sulla stessa norma, ma si trincera, nel rimettere gli atti al Tribunale di Trento per valutare la rilevanza delle questioni di legittimità sollevate alla luce dello ius superveniens della sentenza Mascolo, dietro le motivazioni “esplicite” che avevano portato alla precedente ordinanza n.206/2013 di inammissibilità delle stesse questioni già sollevate dallo stesso giudice: «nel caso di specie, questa Corte non ha disposto il rinvio pregiudiziale in ordine all’interpretazione del parametro comunitario con riguardo alla disciplina statale e provinciale, come letta in combinato disposto dal rimettente, ma alla sola disciplina statale, di cui all’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124».
Le motivazioni esplicite, che avevano portato la Corte costituzionale nell’ordinanza n.206/2013 a dichiarare inammissibili le cinque ordinanze del Tribunale di Trento che avevano sollevato l’identica questione di legittimità costituzionale dell’art.4, comma 1, della legge statale n.124/1999 e l’art.9, commi 1 e 2, della legge provinciale n.5/2006, erano le seguenti: «che, pur essendo le due disposizioni rimesse allo scrutinio di questa Corte tra loro diverse – l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999, infatti, prevede solo il conferimento di supplenze annuali su cattedre effettivamente vacanti e disponibili, mentre l’art. 93 della legge prov. Trento n. 5 del 2006 dispone una durata biennale e triennale dei contratti anche su posti «disponibili e non vacanti» – è evidente che entrambe rimangono estranee al problema della possibile trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato; che, pertanto, aver sottoposto all’esame di questa Corte le sole disposizioni ora richiamate comporta un’incompletezza della ricostruzione del quadro normativo ed una conseguente inefficacia dell’ipotetica pronuncia di accoglimento ai fini della decisione della domanda giudiziale concretamente posta al Tribunale di Trento.».
- L’applicazione “funzionale” della sentenza Mascolo nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale: la stabilizzazione “coattiva” dei docenti precari
La Corte costituzionale è stata costretta, dunque, a trovare una sanzione “generale” da applicare nei giudizi principali delle cause incidentali, senza ricevere alcun ausilio dai Giudici nazionali, compresa la Cassazione con la nota sentenza n.5072/2016[17], che si sono ostinati ad applicare la sanzione del risarcimento dei danni ai sensi dell’art.36, comma 5, del D.Lgs. n.165/2001 a tutto il precariato pubblico, compreso quello scolastico, continuando a invocare il divieto di conversione e la necessità del pubblico concorso per l’accesso stabile alle pubbliche amministrazioni, nonostante l’ordinanza Papalia[18] della Corte di giustizia precludesse nelle sue conclusioni[19], come ius superveniens (cfr. Corte cost., ordinanze nn.194 e 195/2016, cit.), l’utilizzazione della norma che impediva la trasformazione a tempo indeterminato in caso di violazione di norme imperative di legge.
L’ordinamento interno, dunque, almeno fino al piano di immissioni straordinarie in ruolo del personale docente con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015 a seguito della legge n.107/2015, si presentava con un’oggettiva situazione di evidente inadempimento alla direttiva 1999/70/CE per tutto il personale della scuola pubblica, senza misure preventive e senza sanzione.
Infatti, rispetto alle azioni esperite nei giudizi principali pendenti davanti ai giudici rimettenti (Tribunali di Roma e di Lamezia Terme) dai docenti e personale ata precari che avevano superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi nella scuola pubblica, la Corte costituzionale al punto 12 della sentenza n.187/2016 è stata a chiarire anche la “natura”, sfuggita ai giudici di merito e anche alla Cassazione, delle domande proposte dai lavoratori, riqualificandole, secondo l’impostazione della sentenza Francovich[20] della Corte di giustizia, in azioni di risarcimento danni per inadempimento dello Stato italiano alla direttiva 1999/70/CE per tutto il precariato scolastico.
La Corte costituzionale, infatti, ha ben chiara anche l’esistenza la procedura di infrazione n.2010/2124 della Commissione Ue, archiviata soltanto dopo le misure di stabilizzazione di tutti i docenti precari introdotte dalla legge n.107/2015, come riconosciuto dal Giudice delle leggi: «In tal modo, tuttavia, essa non dà risposta alla questione della necessità o meno del riconoscimento del diritto al risarcimento in capo ai soggetti che abbiano subito un danno a seguito dell’inadempimento dello Stato italiano, questione che costituisce l’oggetto reale dei giudizi a quibus.».
Per individuare la sanzione adeguata ed energica idonea a rimuovere l’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato la Corte costituzionale richiama quanto precisato dalla Corte di giustizia al punto 79 della sentenza Mascolo, secondo cui «quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione».
Secondo la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 vi sono due misure alternative indicate dalla Corte di giustizia nelle sentenze Impact[21] e Angelidaki[22], comunque idonee a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione: il risarcimento dei danni e la trasformazione a tempo indeterminato del contratto a tempo determinato illecito.
Infatti, nella sentenza Impact (punti 12 – 14) la Corte di giustizia valutò compatibile con la direttiva 1999/70/CE e, in particolare, con la clausola 5 dell’accordo quadro la legge nazionale irlandese del 2003 di trasposizione della direttiva [Protection of Employees (Fixed – Term Work) Act 2003], entrata in 14 luglio 2003, sia l’art. 14, n.2, che prevedeva un indennizzo al lavoratore fino ad un massimo di 2 annualità di retribuzione, in caso di abusivo ricorso al contratto a tempo determinato perché privo di ragioni oggettive (art.7), sia la trasformazione a tempo indeterminato per il superamento della clausola di durata del superamento dei 48 mesi (3 anni + 1 anno, come per l’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001, norma mutuata dall’ordinamento irlandese), prevista dall’art.9.
Nella sentenza Angelidaki la Corte di giustizia, da un lato, in relazione alle fattispecie giudiziali delibate tutte antecedenti all’entrata in vigore della normativa interna di recepimento della direttiva 1999/70/CE, valutò compatibile con la clausola 5, nn.1 e 2, dell’accordo quadro l’applicazione al lavoratore pubblico precario della «norma equivalente» dell’art. 8, n. 3, della legge greca n.2112/1920, che per i lavoratori privati prevedeva la trasformazione a tempo indeterminato anche nel caso di un unico contratto a termine privo di ragioni oggettive.
La stessa sentenza Angelidaki, tuttavia, ritenne compatibile con la direttiva 1999/70/CE anche l’art.7 del decreto presidenziale n.164/2004[23], per le fattispecie di abuso contrattuale nel pubblico impiego successive all’entrata in vigore della indicata normativa di recepimento della direttiva. La norma greca prevedeva e prevede, per i lavoratori pubblici precari utilizzati senza ragioni oggettive o con contratti successivi con lasso temporale inferiore a 3 mesi l’uno dall’altro o con un numero di contratti successivi superiore a 3 (art.5 D.P. n.164/2004) oppure che hanno superato la durata massima complessiva di ventiquattro mesi con lo stesso datore di lavoro con le stesse o simili mansioni e con condizioni di lavoro identiche o simili (art.6 D.P. n.164/2004), la sanzione della nullità e della non convertibilità a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro flessibili (similmente all’art.36, commi 5 e 5-quater, D.Lgs. n.165/2001), con il riconoscimento del diritto alle prestazioni retributive e contributive maturate nel periodo di servizio nullo (similmente all’art.2126 c.c.) e, soprattutto (a differenza della disciplina italiana), del risarcimento dei danni per l’abusivo utilizzo quantificato nel periodo di preavviso che sarebbe stato riconosciuto, in caso di recesso, al lavoratore a tempo indeterminato comparabile, punendo altresì con la reclusione fino ad un anno il dirigente pubblico responsabile dell’abusivo utilizzo, oltre alle ulteriori conseguenze sul piano disciplinare.
Secondo la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 la sentenza Mascolo ha individuato alcune misure idonee a a cancellare l’illecito comunitario per i precari della scuola (procedure di assunzione certe, anche nel tempo, e risarcimento del danno), ma non ne esclude altre purché rispondenti ai requisiti di effettività ed equivalenza di tutela sanzionatoria, in guisa che, si precisa al punto 13, «le misure in questione, oltre a svolgere la funzione tipica preventiva-punitiva delle sanzioni, nell’interpretazione del Giudice dell’Unione rifluiscono sull’illecito “cancellandolo” (paragrafo 79), attesa la loro natura riparatoria», permettendo di fatto che ne possano beneficiare i soggetti lesi.
Il Giudice delle leggi, quindi, passa ad esaminare quali sanzioni effettive ed equivalenti sono state previste dalla legge n.107/2015 nella disciplina “transitoria”, per rimuovere, dalla sua entrata in vigore, l’illecito comunitario, commessa nei confronti del docente o del personale ATA precario.
Per il personale docente, la Corte costituzionale al punto 14.4 della sentenza n.187/2016 si occupa delle due misure previste dal legislatore della 107 e che qualifica come disciplina “transitoria”: ««È infatti stabilito (art. 1, comma 95, della stessa legge) che: «Per l’anno scolastico 2015/2016, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca è autorizzato ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi dell’articolo 399 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, al termine delle quali sono soppresse le graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012. È poi previsto, sempre dal comma 109, lettera c), della citata legge n. 107 del 2015, che l’art. 399, del d.lgs. n. 297 del 1994, secondo cui l’accesso ai ruoli ha luogo anche attingendo alle graduatorie permanenti, continua ad applicarsi fino a totale scorrimento delle relative graduatorie ad esaurimento.»».
Dunque, sia il piano straordinario di immissione in ruolo dei docenti di cui alle fasi denominate “B” e “C” di cui all’art.1, commi 95-98, della legge n.107/2016 (che la Corte costituzionale al punto 18.1 qualifica come selezioni blande o concorsi riservati, ma che rappresentano delle vere alterazioni della procedura ordinaria di immissione in ruolo, almeno per la fase “B”, su cui v. infra) con immissione in ruolo con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015 sia l’immissione in ruolo di tutti i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ai sensi dell’art.1, comma 109, lett.c), della stessa legge di riforma, a partire dal 1° settembre 2016 e per gli anni successivi fino allo svuotamento delle GAE, costituiscono misure di stabilizzazione di tutti i docenti precari, idonee a rimuovere definitivamente l’illecito comunitario.
Le misure di stabilizzazione previste per tutti i docenti precari sia attraverso i concorsi riservati del piano straordinario di immissioni in ruolo sia in base al «mero automatismo» di essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento sono state utilizzate dal Giudice delle leggi, allora, per affermare, in mancanza di altro meccanismo sanzionatorio per l’inoperatività ex lege dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001, che la stabilizzazione generale del personale insegnante precario è la misura più adeguata a rimuovere gli effetti dell’illecito comunitario, accertato dalla Corte di giustizia con la sentenza Mascolo.
Tra le misure introdotte dal legislatore della riforma la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 riconosce anche quella introdotta dall’art.1, comma 132, della legge n.107/2015 di un fondo specifico con dotazione di euro 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016, destinato a dare esecuzione a provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili.
La Consulta, tuttavia, riconosce l’inadeguatezza della misura risarcitoria – peraltro senza criteri di quantificazione del danno sui quali rimanda alla determinazione fatta nei provvedimenti giurisdizionali soltanto quando il docente o il personale ata abbiano superato i 36 mesi di servizio sulla base di almeno 3 supplenze annuali fino al 31 agosto – rispetto alla diversa misura dell’immissione in ruolo dei docenti iscritti nella GAE o assunti attraverso i concorsi riservati delle fasi “B” e “C” del piano straordinario, evidenziando che «tale efficacia è indubbiamente tipica della sanzione generale del risarcimento, desunta dai principi della normativa comunitaria e non richiede approfondimenti; non diversa, tuttavia, è l’efficacia dell’altra misura, che sostanzialmente costituisce anch’essa un risarcimento, ma in forma specifica. Ciò sarebbe ancor più evidente se la sanzione alternativa consistesse nella trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, ma la Corte di giustizia dell’Unione europea, prendendo atto del principio del concorso pubblico, ricordato anche nell’ordinanza n. 207 del 2013, ritiene sufficiente una disciplina che garantisca serie chances di stabilizzazione del rapporto.».
Aveva, infatti, premesso la Corte costituzionale, riconoscendo il rispetto del principio di leale cooperazione da parte della Corte di giustizia nella sentenza Mascolo, che l’aveva ampiamente compensata nel possente dialogo con il Collegio di Lussemburgo del rischio di aver abbracciato con l’ordinanza n.207/2013 l’idea di un sistema giudiziario di tutela dei diritti integrato e multilevel dell’Unione europea, trasformandosi in giurisdizione, che «il primato del diritto comunitario e la esclusività della giurisdizione costituzionale nazionale, in un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, impongono delicati equilibri, evidenziati anche nell’ordinanza del rinvio pregiudiziale, in cui questa Corte ha posto in evidenza i principi costituzionali che vengono in rilievo nella materia in esame, e cioè l’accesso mediante pubblico concorso agli impieghi pubblici (art. 97, quarto comma, Cost.), e il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.).».
E’ evidente, però, al Giudice delle leggi che il legislatore della 107 ha demolito il principio del pubblico concorso, diventato mero flatus vocis, nel momento in cui ha rinunciato a dare corso alle procedure di immissioni in ruolo ordinarie di tipo concorsuale previste dall’art.399 D.Lgs. n.297/1994 e autorizzate dall’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013 (Governo Letta), per orientarsi nel campo minato dei “concorsi riservati” e dello scorrimento delle GAE, dando così «un’attuazione invero peculiare di un principio basilare del pubblico impiego (l’accesso con concorso pubblico)».
La Corte costituzionale ha, infatti, così sintetizzato al punto 18.1 della motivazione della sentenza n. 187/2016: ««Per i docenti, si è scelta la strada della loro stabilizzazione con il piano straordinario destinato alla «copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto». Esso è volto a garantire all’intera massa di docenti precari la possibilità di fruire di un accesso privilegiato al pubblico impiego fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015, permettendo loro di ottenere la stabilizzazione grazie o a meri automatismi (le graduatorie) ovvero a selezioni blande (concorsi riservati). In tal modo vengono attribuite serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo a tutto il personale interessato, secondo una delle alternative espressamente prese in considerazione dalla Corte di giustizia. La scelta è più lungimirante rispetto a quella del risarcimento, che avrebbe lasciato il sistema scolastico nell’attuale incertezza organizzativa e il personale in uno stato di provvisorietà perenne; una scelta che – va sottolineato – richiede uno sforzo organizzativo e finanziario estremamente impegnativo e che comporta un’attuazione invero peculiare di un principio basilare del pubblico impiego (l’accesso con concorso pubblico), volto a garantire non solo l’imparzialità ma anche l’efficienza dell’amministrazione (art. 97 Cost.).»».
La Consulta conclude così al punto 19 la straordinaria avventura del dialogo diretto con la Corte di giustizia, certificando l’inadempimento alla direttiva 1999/70/CE per il personale scolastico come già denunciato nell’ordinanza n.207/2013 e accertato dalla sentenza Mascolo, ma anche riconoscendo che il legislatore, in qualche modo, ha riconosciuto la violazione del diritto comunitario e ha previsto mezzi complessivamente adeguati a rimuovere le conseguenze dell’illecito comunitario: «Si deve pertanto concludere nel senso che lo Stato italiano si è reso responsabile della violazione del diritto dell’U.E., ma anche che il conseguente illecito è stato “cancellato” con la previsione di adeguati ristori al personale interessato.».
Il Giudice delle leggi ha creato una nuova tipologia di decisione con natura mista interpretativa/rescissoria di carattere “maieutico”, fondata sulla ricostruzione di una norma-sanzione di origine legislativa, con le tecniche interpretative tipiche della giurisdizione anglosassone per l’efficacia tendenzialmente erga omnes, facendo sintesi di tutta la complessa operazione giuridico-istituzionale che ha promosso con le due ordinanze nn.206 e 207/2013, per risolvere il problema del precariato scolastico, con l’aiuto provvisorio (alle’epoca) del legislatore (Governo Letta) e della Corte di giustizia, puntellando con la sua autorevolezza le quattro ordinanze di rinvio pregiudiziale Ue del Tribunale di Napoli, già pendenti da sei mesi a Lussemburgo al momento del rinvio pregiudiziale dell’ordinanza del 18 luglio 2013.
Soprattutto, la Corte costituzionale è riuscita a cogliere l’essenza della volontà popolare di rendere stabili i rapporti di lavoro a fronte della precarietà delle regole e all’inesistenza degli strumenti di tutela, trasformandosi una tantum in giurisdizione e in legislatore senza essere né l’una né l’altro, per curare l’inadeguatezza dell’una e per colmare l’assenza costituzionale e strutturale dell’altro (dopo la sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale), grazie al fecondo e straordinario dialogo diretto con la Corte di giustizia, interprete autentica dell’unica fonte legislativa comunque applicabile nell’ordinamento interno attraverso l’art.117, comma 1, Cost., la direttiva 1999/70/CE, senza efficacia diretta sulla clausola 5 dell’accordo quadro che prevede le misure preventive (punto 1) lasciando agli Stati membri la discrezionalità degli strumenti sanzionatori, ma con efficacia diretta nell’applicazione delle medesime condizioni di lavoro anche al momento dell’accesso all’impiego in base alla clausola 4, punto 1, dello stesso accordo comunitario, quando non sussistono ragioni oggettive per non equiparare i lavoratori a tempo determinato con i lavoratori a tempo indeterminato comparabili.
Quindi, con questo raffinato e sofisticato, ma in fondo semplice e lineare, percorso argomentativo la Corte costituzionale ha supplito ai vuoti di tutela lasciati dalla legislazione prima e dalla giurisprudenza poi, riempiendoli con il principio costituzionale e comunitario di uguaglianza e non discriminazione per estendere la stessa “sanzione” a tutti i docenti precari, anche a coloro che dal piano straordinario di immissioni in ruolo della legge n.107/2015 sono stati ingiustamente estromessi.
Sul punto va evidenziato che le questioni di costituzionalità sollevate davanti alla Corte costituzionale avevano come comune denominatore di tutte le fattispecie delle cause principali il superamento dei 36 mesi di servizio ai sensi dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 di tutti i docenti e personale ATA, assunti a tempo determinato attraverso un sistema di reclutamento legittimo sulla base di graduatorie, con conseguente domanda giudiziale di stabilizzazione.
I docenti precari con servizio pubblico superiore a 36 mesi che avevano fatto domanda di stabilizzazione nelle cause principali pendenti davanti alla Corte di giustizia dopo l’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale non erano soltanto quelli iscritti in GAE, compresi gli insegnanti tecnico pratici, ma anche il personale docente con titolo abilitante PAS[24] o TFA[25] non inserito nelle GAE, bloccate nel 2007 dall’art.1, comma 605, della legge n.296/2006 e trasformate in graduatorie ad esaurimento, oltre ai diplomati magistrali entro l’anno scolastico 2001/2002 (che il Consiglio di Stato ha riconosciuto ex sé titolo abilitante all’insegnamento), inseriti nella II fascia delle graduatorie di circolo o di istituto per essere in possesso di titolo abilitante all’insegnamento.
E allora dobbiamo porci una domanda: anche per essi valgono le stesse misure di stabilizzazione dei docenti precari ricavate dalla Corte costituzionale “spremendo” il frutto non fecondo della legge n.107/2015?
- La nozione di docente precario da stabilizzare nella sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale
A tal proposito, va preliminarmente chiarita quale sia la nozione di docente precario secondo la Corte costituzionale, perché essa non viene precisata nella motivazione nella decisione n.187/2016 (né nelle due ordinanze nn.185-196/2016), ma si può ricavare agevolmente sia dalla precedente giurisprudenza del Giudice delle leggi sia dal dispositivo e dal percorso argomentativo di archeologia normativa alla ricerca della sanzione adeguata di cui alla sentenza n.187/2016.
Nella sentenza n.260/2015 la Consulta precisa che «con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il ruolo della “ragione obiettiva” come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla stabilità dell’impiego e le irriducibili peculiarità del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri).».
In definitiva, quindi, secondo la Corte costituzionale i precari pubblici delle Fondazioni lirico-sinfoniche hanno diritto alla conversione a tempo indeterminato del singolo contratto a termine privo di ragioni oggettive, richiamando sul punto la posizione espressa dalla Corte di giustizia nella sentenza Mascolo al punto 92 proprio in relazione alle ragioni oggettive che possono giustificare il reclutamento scolastico: «A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 31).».
Questo giustifica la declaratoria di illegittimità costituzionale (limitata all’entrata in vigore della legge n.107/2015) dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 delle supplenze annuali fino al 31 agosto dell’anno scolastico su posti vacanti e disponibili, perché prive appunto di ragioni oggettive, che si estende alle supplenze su organico “di fatto” conferite su posti non vacanti ma resisi disponibili fino al 30 giugno dell’anno scolastico (art.4, comma 2, della legge n.124/1999), se e nella misura in cui la programmazione dell’organico di fatto da parte della pubblica amministrazione scolastica, come è costantemente avvenuto dal 1999 ad oggi, è stata impostata sull’occultamento dei posti effettivamente vacanti e disponibili, per impedire la regolare immissione in ruolo del personale docente ed ata secondo le procedure previste dal D.Lgs. n.297/1994 e retribuire così i supplenti assunti fino al termine delle attività didattiche senza riconoscere i mesi di luglio ed agosto, scaricando sul sistema previdenziale privato della disoccupazione ordinaria i mesi di “mancato lavoro” dei docenti e ata precari.
Tuttavia, la platea dei docenti “precari” finisce per essere allargata in modo abnorme dal legislatore della riforma “di sistema”, perché essa si estende, come si è visto nell’interpretazione della Corte costituzionale, a tutti i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, indipendentemente dal servizio prestato nella pubblica amministrazione scolastica o nelle scuole paritarie [art.1, comma 109, lett.c), della legge n.107], come peraltro era già emerso nella fase “C” del piano straordinario di immissione in ruolo (art.1, commi 95-98, della stessa legge n.107), con migliaia di docenti precari assunti a tempo indeterminato con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015 su posti denominati di “potenziamento” (ma, in realtà, in vasta misura facenti parte dell’organico di diritto “nascosto” dal MIUR) senza un solo giorno di servizio nella scuola pubblica.
- I docenti abilitati PAS e TFA e gli altri docenti precari con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto: estensione ope legis delle misure di stabilizzazione
Se ne dovrebbe concludere che – per i docenti abilitati PAS e TFA o per altri docenti con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto, esclusi formalmente dalle due misure di stabilizzazione individuate dalla Corte costituzionale come utili a risolvere definitivamente il problema del precariato scolastico del personale insegnante – non sussisterebbe nessuna sanzione effettiva idonea a rimuovere l’illecito comunitario.
Non è cosi e, anche in questo, è di grande ausilio il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, non solo con riferimento alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato, ma soprattutto la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (che ha sostituito la direttiva 1988/48/CEE), recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n.206/2007, dopo ben due sentenze di condanna della Corte di giustizia per inadempimento subite dallo Stato italiano nel 2005[26] e nel 2006[27] e dopo la sentenza Burbaud[28] della Corte di Lussemburgo in seduta plenaria.
Infatti, la Corte di Giustizia, in seduta plenaria, nella sentenza Burbaud, nel 2013 aveva così deciso, dopo ben due conclusioni scritte dell’Avvocato generale Stix-Hackl (confermate dalla Corte integralmente): «1) La constatazione del superamento dell’esame conclusivo della formazione presso l’École nationale de la santé publique, che conduce a una nomina in ruolo nel pubblico impiego ospedaliero francese, deve essere qualificata come «diploma» ai sensi della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni. Spetta al giudice a quo verificare, ai fini dell’applicazione dell’art. 3, primo comma, lett. a), di tale direttiva, se possa essere qualificato come diploma ai sensi di tale disposizione un titolo conseguito in un altro Stato membro da un cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare una professione regolamentata nello Stato membro ospitante e, se così è, esaminare entro quali limiti le formazioni certificate da tali diplomi siano equivalenti sotto il profilo della durata e delle materie trattate. Se emerge da tali verifiche che si tratta in entrambi i casi di un diploma ai sensi della direttiva e che questi diplomi certificano formazioni equivalenti, la citata direttiva osta a che le autorità dello Stato membro ospitante subordinino l’accesso di tale cittadino di uno Stato membro alla professione di dirigente nel pubblico impiego ospedaliero alla condizione che egli segua la formazione impartita dall’École nationale de la santé publique e si sottoponga all’esame previsto al termine di tale formazione. 2) Qualora un cittadino di uno Stato membro sia in possesso di un diploma conseguito in uno Stato membro, equivalente a quello richiesto in un altro Stato membro per accedere ad un posto nel pubblico impiego ospedaliero, il diritto comunitario osta a che le autorità dell’ultimo Stato membro subordinino l’assegnazione di tale cittadino al detto posto al superamento di un concorso come quello di ammissione all’École nationale de la santé publique».
La Corte di Giustizia nella sentenza Burbaud non ha ritenuto ostativo il concorso pubblico per l’accesso stabile nel pubblico impiego nazionale per il cittadino comunitario che aveva maturato esperienze di lavoro nel settore scolastico o in quello sanitario in altri Stati membri.
Tale principio è stato ribadito con la sentenza del 12 maggio 2005 della II Sezione della CGUE (la stessa delle successive sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo del 7 settembre 2006[29]), che ha accolto il ricorso per inadempimento della Commissione europea e ha così concluso: «La Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 39 CE e 3, n. 1, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità».
Di particolare significato nella sentenza del 2005 (sulla base delle informazioni fornite dal Governo italiano) è la ricostruzione del sistema di reclutamento stabile scolastico, al punto 10: «10. Per quanto riguarda, più in particolare, il settore dell’insegnamento, lo stesso Governo fa presente che l’assunzione degli insegnanti avviene, in Italia, in base a tre distinte modalità, ossia, per il 50% dei posti disponibili in ogni anno scolastico, mediante concorso per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 400 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (Supplemento ordinario alla GURI n. 115, del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 297/1994»), e, per il residuo 50%, mediante graduatorie permanenti di cui all’art. 401 del medesimo decreto legislativo; apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, contenenti i nomi degli insegnanti abilitati ad effettuare sostituzioni, vengono infine utilizzate per coprire i posti disponibili temporaneamente vacanti».
La Corte europea è categorica nell’affermare il diritto dei docenti comunitari ad accedere al reclutamento stabile nell’amministrazione scolastica nazionale, richiamando la propria sentenza sui lettori universitari, ai punti 16 – 18: «16. Orbene, nel caso di specie, non si può negare che questi diritti vengono violati dalla Repubblica italiana per quanto riguarda l’accesso dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica di tale Stato membro. 17. Per quanto riguarda, infatti, l’assunzione di personale docente effettuata sulla base di graduatorie permanenti le quali, come è stato rilevato al punto 10 della presente sentenza, riguardano la metà dei posti disponibili per anno scolastico, il Governo italiano, nel controricorso, ha riconosciuto che ai cittadini comunitari veniva applicato un trattamento diverso a seconda che l’esperienza professionale presa in considerazione ai fini dell’iscrizione in tali graduatorie fosse stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri, giustificando tale disparità con l’assenza di equivalenza tra i contenuti e i programmi dell’insegnamento italiano e quelli dell’insegnamento svolto al di fuori dell’Italia. 18. Orbene, dalla giurisprudenza menzionata al punto 14 della presente sentenza risulta che un rifiuto assoluto di prendere in considerazione l’esperienza acquisita grazie ad attività d’insegnamento svolte in altri Stati membri, il quale sarebbe basato sull’esistenza di differenze tra i programmi d’insegnamento di detti Stati non può essere giustificato. Infatti, non si può negare che un’esperienza d’insegnamento specifica quale quella richiesta dalla normativa italiana, in particolare nel settore dell’insegnamento artistico o nell’insegnamento prestato ai portatori di handicap, può essere acquisita anche in altri Stati membri».
La stessa II Sezione della Corte di giustizia, accogliendo integralmente le dure conclusioni della Sharpston[30], ha nuovamente condannato la Repubblica italiana per inadempimento, anche questa volta per mancato riconoscimento della qualifica professionale e dell’anzianità di servizio maturata in Francia da docente comunitario, che si era visto precludere l’inserimento nelle graduatorie provinciali permanenti per l’insegnamento in Italia: «La Repubblica italiana, non avendo tenuto conto dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso una pubblica amministrazione di un altro Stato membro da un lavoratore comunitario impiegato nel settore pubblico italiano, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità».»».
Le conclusioni dell’Avvocato generale britannico nella causa C-371/04 (che mostra seri dubbi anche sul fatto che in Italia si lavori in modo stabile nel pubblico impiego solo dopo un pubblico concorso) e le successive sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo della Corte di Giustizia manifestano anche, in combinato disposto, un notevole senso dell’ironia di fronte alla confusionaria posizione della Repubblica italiana in materia di reclutamento nel pubblico impiego per concorso: poiché lo Stato italiano nella causa C-371/04 non ha «prima facie escluso la possibilità di tener conto dell’impiego» (conclusioni Avvocato generale Sharpston, punto 22) in Francia del cittadino comunitario che non ha fatto il concorso in Italia e vuole venirci a lavorare nel settore pubblico in modo stabile, la Corte di Lussemburgo non esclude nelle sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo neanche che il risarcimento dei danni di cui all’art. 36, comma 2 (ora comma 5), D.Lgs. n. 368/2001 possa essere prima facie sanzione idonea a prevenire e, se del caso, a reprimere gli abusi in caso di successione di contratti a termine nel pubblico impiego italiano.
La Direttiva 2005/36/CE (modificata dalla Direttiva 2013/55/UE), che ha sostituito la Direttiva 1988/48/CEE, definisce “qualifica professionale” il titolo che consente l’esercizio della professione, che, nel sistema scolastico pubblico italiano, è il cosiddetto “titolo di accesso” all’insegnamento, nel caso della scuola secondaria la laurea magistrale per le classi di concorso “A” e il diploma di scuola secondaria per gli insegnamenti tecnico-pratici delle classi di concorso “C”. La cosiddetta abilitazione – ovvero il riconoscimento di una qualifica professionale che abilita all’insegnamento – può essere maturata o mediante appositi corsi di formazione al superamento dei quali viene riconosciuto il titolo avente valore abilitante, oppure mediante l’esperienza professionale legittimamente svolta – avendone titolo – per almeno 36 mesi [art.1, comma 1, lett.b), D.Lgs. n.206/2007].
Il D.Lgs. n.206/2007 ha recepito la direttiva 2005/36/CE e, all’art.2, comma 1, ha previsto che il decreto si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione.
In conseguenza, i docenti non italiani cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea hanno potuto ricevere, se in possesso del titolo abilitante corrispondente o di attività professionale di almeno 3 anni nel settore scolastico, con migliaia di decreti il riconoscimento da parte del MIUR dell’abilitazione all’insegnamento anche in Italia e il conseguente inserimento nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, a differenza dei cittadini italiani abilitati PAS e TFA, nonché dei diplomati magistrali con diploma conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 e di tutti gli idonei dei concorsi banditi dal MIUR a decorrere dal 2012, che invece sono stati inseriti soltanto nelle graduatorie di II fascia di istituto o di circolo, con un comportamento discriminatorio da parte dell’amministrazione pubblica scolastica in aperta violazione della normativa interna e che ha determinato tutte quelle problematiche di precarizzazione dei rapporti di lavoro dei docenti e del personale ATA, che sicuramente non sono stati risolti dalla legge n.107/2016.
Infatti, le recenti integrazioni dell’art.2 D.Lgs. n.206/2007 (commi 1-bis e 1-ter, introdotti dal D.Lgs. n.15/2016) hanno tardivamente esteso parti della disciplina del decreto legislativo attuativo della direttiva 2005/36/CE ai cittadini italiani.
Tuttavia, come già con l’art.14 bis della legge n.11/2005, l’art.53, comma 1, della legge n.234/2012 (recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”) ha previsto la parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini comunitari, impedendo ogni discriminazione nei confronti dei primi attraverso la diretta non applicazione delle norme interne in contrasto con il principio di uguaglianza: «1. Nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea.».
In conclusione, hanno diritto all’automatico inserimento nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, in quanto pienamente qualificati ovvero abilitati all’insegnamento, ai sensi degli artt.1 e 2 D.Lgs. n.206/2007 e dell’art.53, comma 1, legge n.234/2012, così come avviene per i docenti comunitari che intendano insegnare in Italia, anche i cittadini italiani:
- in possesso di «titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito a seguito sia dell’accesso ai percorsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico», come previsto dall’art.1, comma 114, lett.a), della legge n.107/2015, compresi i docenti in possesso di titolo PAS e TFA;
- docenti di scuola dell’infanzia in possesso del diploma di scuola o istituto magistrale, nonché docenti di scuola secondaria in possesso di titolo valido all’esercizio professionale, che hanno svolto servizio per almeno 36 mesi in scuole statali o paritarie;
- docenti di scuola primaria in possesso del diploma di istituto magistrale ai sensi dell’art. 197 D.Lgs. n.297/1994 e dell’art. 15, comma 7, del DPR 323/98, che sancisce in via permanente il valore di abilitazione all’insegnamento del titolo, come riconosciuto dalla giurisprudenza univoca del Consiglio di Stato.
Anche a queste categorie di “docenti precari”, dunque, andranno applicate le stesse misure di stabilizzazione dei rapporti di lavoro previste dalla legge n.107/2015 per tutti i docenti iscritti nelle GAE, la cui condizione di “esaurimento” va rimossa in applicazione della normativa comunitaria e della normativa interna innanzi richiamata.
- I docenti abilitati PAS e TFA e gli altri docenti precari con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto: applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Le sentenze n.146/2013 e n.192/2016 della Corte costituzionale
D’altra parte, anche se si prescindesse dall’obbligo di inserire nelle graduatorie provinciali ad esaurimento i docenti abilitati PAS e TFA e gli altri docenti precari con titolo di accesso abilitante iscritti nella II fascia delle graduatorie di istituto (o aventi titolo almeno alla II fascia delle graduatorie di istituto, in quanto docenti di scuola secondaria in possesso di titolo valido all’esercizio professionale, che hanno svolto servizio per almeno 36 mesi in scuole statali o paritarie), tali categorie di docenti discriminati avrebbero comunque diritto a beneficiare delle stesse misure di stabilizzazione riservate ai lavoratori a tempo indeterminato “comparabili”, ai sensi della clausola 4, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, cioè rispetto ai docenti immessi in ruolo nelle fasi “B” e “C” del piano straordinario di immissioni in ruolo con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015.
Sembra questo l’effetto più evidente della sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale, che, individuando nella stabilizzazione di tutto il personale docente la misura più adeguata a rimuovere l’illecito comunitario, consente l’applicazione diretta del principio di uguaglianza e non discriminazione contenuto nella direttiva 1999/70/CE sulle condizioni di impiego tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato “comparabili”, ormai conclamato nella copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia, tra cui in particolare vanno ricordate le sentenza Gavieiro Gavieiro- Iglesias Torres[31] e Valenza[32], quest’ultima di particolare rilievo perché è l’unica decisione della Corte di Lussemburgo sul precariato pubblico italiano in cui si trascrive, come normativa interna rilevante ai fini della soluzione della controversia (sentenza Valenza, punti 12 e 13), sia l’art.3 sia l’art.97, comma 3 (ora comma 4), della Costituzione, in relazione ad una norma interna – quale l’art.75, comma 2, D.L. n.112/2008, non convertita dalla legge n.133/2008 – che aveva consentito ai precari raccomandati alle dipendenze delle Autorità indipendenti di essere assunti a tempo indeterminato con il mero superamento dei 36 mesi di servizio senza concorso iniziale, prevedendo come forma compensativa della stabilizzazione “extra ordinem” l’azzeramento dell’anzianità di servizio maturata.
La Corte costituzionale ben conosce la sentenza Valenza della Corte di giustizia, che fu oggetto di discussione all’udienza pubblica del 27 marzo 2013 e fu analizzata negli scritti difensivi delle cause incidentali che poi portarono all’ordinanza di rinvio pregiudiziale n.207/2013 sul precariato scolastico.
Contestualmente alle ordinanze nn.206-207/2013, la Corte costituzionale nella sentenza n.146/2013 (sempre Presidente Gallo ed Estensore Mattarella) ha affrontato il problema dell’applicazione della clausola 4, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato nella sentenza n.146/2013, dichiarando in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.53, comma 3, della legge n.312/1980, sollevata – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – dalla Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, con riguardo al tertium comparationis costituito dai docenti non di ruolo a tempo indeterminato.
Il Giudice delle leggi con una condivisibile e esaustiva decisione ha escluso che ai docenti supplenti “ordinari” possano essere applicati gli scatti di anzianità biennale previsti soltanto per gli insegnanti di religione con incarico annuale a tempo determinato, per «l’inidoneità della categoria dei docenti di religione a fungere da idoneo tertium comparationis», stante le «indubbie peculiarità» dello status degli insegnanti di religione, per i quali «la perdurante applicazione dell’art. 53, ultimo comma, della legge n. 312 del 1980 costituisce l’unico temperamento rispetto alla mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro» e ai quali«la permanente possibilità di risoluzione del contratto per revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano (art. 3, comma 9, della legge n. 186 del 2003) e l’assenza di un sistema paragonabile a quello delle graduatorie permanenti – ora graduatorie ad esaurimento – previste per altri docenti, le quali consentono l’ingresso in ruolo in ragione del cinquanta per cento dei posti disponibili (art. 399 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297….). Inoltre questa Corte ha sottolineato la peculiarità del rapporto di lavoro degli insegnanti di religione (sentenza n. 343 del 1999) e ha ricordato che tale categoria di docenti ha operato tradizionalmente con un rapporto di servizio nel quale assume un ruolo centrale l’Intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana (sentenza n. 297 del 2006).»
Tuttavia, nelle argomentazioni conclusive della sentenza n.146/2013 la Corte costituzionale al punto 4.2 ritiene di dover precisare: «La diversità della condizione dei suddetti docenti – la quale costituisce una naturale conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro – rende, di conseguenza, priva di fondamento la prospettata questione di legittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 36 Cost. nonché alla normativa europea richiamata attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poiché il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, presuppone comunque la comparabilità tra le due categorie di lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.».
Ne consegue che, nel momento in cui la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 ha espressamente individuato come tertium comparationis gli ex docenti precari immessi in ruolo attraverso i concorsi “riservati” delle fasi “B” e “C” del piano straordinario di immissione in ruolo di cui all’art.1, commi 95-98, della legge n.107/2015 con decorrenza dal 1° settembre 2015 e comunque tutti i docenti iscritti nelle GAE che sono stati o saranno assunti in base alla previsione dell’art. 1, comma 109, lett.c), della stessa legge di riforma, non può esservi dubbio sull’applicazione diretta ed orizzontale della clausola 4, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato anche in sede giudiziale in favore di tutti i docenti precari ingiustamente e discriminatoriamente esclusi dalle misure di stabilizzazione certificate come adeguate dalla Consulta.
Una ulteriore, contestuale, conferma delle argomentazioni sin qui esposte la ricaviamo dalla sentenza n.192[33] del 20 luglio 2016 della Corte costituzionale, che ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del D.L. n. 134/2009, convertito con modificazioni dalla legge n.167/2009, sollevata dal TA.R. per il Lazio con ordinanza n.221/2014 Reg.Ord., relativa alla presunta discriminazione subita dai docenti di ruolo per essere stati estromessi in base alla norma sospettata di illegittimità costituzionale, al momento dell’assunzione a tempo indeterminato, dalle graduatorie provinciali ad esaurimento per qualsiasi tipologia di posti di insegnamento o classi di concorso (ovviamente diversi dalla classe di immissione in ruolo).
La Consulta nella sentenza n. 192/2016 afferma condivisibilmente che la fattispecie sopposta a scrutinio di costituzionalità nella sentenza n.41/2011 era diversa da quella attualmente delibata, e non omogenea la posizione dei docenti non di ruolo che rimangono inseriti nelle graduatorie e che non è, quindi, correttamente utilizzabile quale tertium comparationis a sostegno dell’asserita disparità di trattamento rispetto ai docenti già di ruolo ai quali si applica la norma censurata.
Effettivamente, secondo il Giudice delle leggi, il giudice del rinvio ha posto a raffronto oggettivamente non comparabili, anche perché la norma sospettata di illegittimità aveva e ha «l’obiettivo prioritario del legislatore è rappresentato dall’esigenza di assicurare il tempestivo assorbimento del precariato. In considerazione di tale preminente esigenza, non può essere ritenuta irragionevole la scelta legislativa di prevedere la cancellazione dalle graduatorie dei docenti immessi in ruolo. Tale scelta risponde, infatti, ad una logica organizzativa volta al bilanciamento delle esigenze di piena realizzazione della professionalità dei docenti di ruolo con quelle volte a consentire il più ampio accesso possibile ai ruoli dell’amministrazione. Tale obiettivo viene, quindi, realizzato riconoscendo ai soli docenti non di ruolo la possibilità di conservare l’inserimento in graduatorie relative a tutte le classi di concorso per le quali sia stata ottenuta l’abilitazione. Che solo i docenti non di ruolo siano inseriti in tali graduatorie è giustificato dalla finalità di tutela del diritto ad un’occupazione stabile, da riconoscersi con priorità in favore di chi ancora ne sia privo.».
Infine, per respingere la censura che la norma sottoposta alla delibazione della Corte comprima le aspettative dei docenti di ruolo alla piena realizzazione professionale, il Giudice delle leggi richiama sia l’istituto della mobilità professionale previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, la cui «disciplina riconosce ai docenti di ruolo – sia pure a determinate condizioni e secondo particolari modalità – la possibilità di rivolgersi verso incarichi per altre classi di concorso, per le quali gli stessi possiedano le necessarie abilitazioni», sia l’istituto della chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici prevista dall’art. 1, comma 79, della legge n.197/2015, che prevede che la possibilità di utilizzare i docenti di ruolo in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purché non siano disponibili nell’ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso.
La sentenza n.192/2016, depositata contestualmente alla sentenza n.187/2016, rappresenta un’ulteriore conferma della ferrea volontà della Corte costituzionale di dare priorità alla definitiva soluzione del precariato scolastico, riconoscendone la priorità nelle scelte legislative e nelle indicazioni che la giurisprudenza costituzionale deve fornire, nel contempo rafforzando, rispetto a questo obiettivo, i poteri del giudice nazionale di applicare direttamente la clausola 4, n.1, dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato anche alle condizioni di impiego per l’assunzione stabile nella pubblica amministrazione scolastica, sulla base della corretta comparazione del docente precario con il lavoratore a tempo indeterminato che si trovava in situazione omogenea, prima di essere immesso in ruolo attraverso lo stesso sistema di reclutamento cui partecipa il docente abilitato non stabilizzato senza ragioni oggettive.
- Il risarcimento del danno in forma specifica per il personale ata escluso dal piano straordinario di immissione in ruolo. Le nuove assunzioni a tempo indeterminato “iussu iudicis” per l’anno scolastico 2016/2017
L’ulteriore conferma che sia questa la strada percorsa dalla Corte Costituzionale la ritroviamo nella sentenza n.187/2016, nella parte in cui il Giudice delle leggi al punto 14 “rimprovera” il legislatore della 107 per non aver previsto analogo piano straordinario di immissioni in ruolo anche per il personale ATA (tecnico, amministrativo, ausiliario), pur avendo anticipato la sua intenzione nell’originario disegno di legge 29994: «a le sue finalità sono chiaramente indicate con riguardo alla disposizione che, nell’originario disegno di legge (Atto Camera 2994, XVII legislatura), prevedeva la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato della scuola (art. 12 del citato d.d.l.). Nella relazione illustrativa si precisava, infatti, che: ««La disposizione intende adeguare la normativa nazionale a quella europea, al fine di evitare l’abuso nella successione dei contratti di lavoro a tempo determinato per il personale docente e non docente della scuola pubblica. Ciò a seguito della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 novembre 2014 […]. In proposito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella citata sentenza ha evidenziato il contrasto delle norme italiane in materia di contratti a tempo determinato nel settore scolastico con quanto previsto dalla clausola 5 della direttiva 1999/70/CE.»».
Del resto, la procedura di infrazione n.2124/2010 della Commissione europea sul precariato pubblico scolastico era stata anticipata dall’interrogazione scritta presentata il 16 aprile 2010 n. E-2354/10 della parlamentare europea Rita Borsellino, che segnalava che – all’epoca – in Italia esistevano più di 70.000 ausiliari tecnici amministravi che si occupavano a diverso titolo del funzionamento della scuola pubblica e che operavano da diversi anni con contratti a tempo determinato, reiterati negli anni, dando vita a una forma di precariato di lunga durata, senza che venissero riconosciuti a questa fascia di lavoratori gli stessi diritti derivanti dall’assunzione a tempo indeterminato.
L’europarlamentare lamentava, dunque, la mancata applicazione della sentenza Adeneler[34] della Corte di giustizia, che aveva addirittura sancito la non applicazione della norma della Costituzione ellenica (art.103) che prevedeva il divieto assoluto di conversione nel pubblico impiego, per contrasto con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Qualche giorno dopo il deposito delle osservazioni scritte del Governo italiano nella causa Affatato e attingendo evidentemente dalla stessa fonte, la Commissione europea, nel rispondere il 10 maggio 2010 all’interrogazione scritta, ha recepito le indicazioni dell’Avvocatura erariale, confermando l’applicazione dell’art.5, c. 4 bis, d.lgs. n.368/2001 e la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine “successivi” di durata superiore a trentasei mesi con lo stesso datore di lavoro anche pubblico, con particolare riferimento alla scuola e al personale ata. Tuttavia, prudentemente l’Istituzione Ue si è riservata di scrivere «alle autorità italiane per ottenere informazioni e chiarimenti sull’applicazione della normativa italiana agli ausiliari tecnici amministrativi delle scuole pubbliche».
Ricevute informazioni nazionali non positive sul rispetto degli obblighi comunitari nei confronti dei supplenti della scuola e sull’applicazione dell’art.5, c.4 bis, d.lgs. n.368/2001, la Commissione, dopo l’invio della lettera di messa in mora del 14 marzo 2011, in data 25 ottobre 2012 ha aperto la procedura di infrazione n.2124/2010 prima nei confronti del solo personale ata, estendendola con il parere motivato del 21 novembre 2013 anche al personale docente, per la non corretta applicazione della direttiva 1999/70/Ce, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato nel settore scolastico italiano.
In particolare, come segnalato dall’Ufficio legislativo della Camera dei deputati[35], nella fase precontenziosa EU Pilot, la Commissione ha accertato che nell’ordinamento scolastico italiano è estremamente diffuso il ricorso alla stipula di contratti a tempo determinato con la stessa persona (docente e personale ata); che per tali soggetti non sono previsti dall’ordinamento italiano mezzi efficaci di riparazione in caso di abuso di contratti successivi a tempo determinato; che il trattamento riservato a tali soggetti è meno favorevole rispetto al corrispondente personale a tempo indeterminato (in termini di anzianità lavorativa e di valutazione dell’attività professionale ai fini del calcolo degli stipendi).
Sull’insufficiente efficacia delle misure destinate a contrastare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato nelle scuole pubbliche italiane la Commissione ha precisato, preliminarmente, che non è in discussione la correttezza del ricorso ai contratti a tempo determinato, previsto dalla direttiva, ma piuttosto il ricorso continuo ed indebito a tale tipo di contratto. La coerenza di tale ricorso con la lettera a), della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro allegato alla direttiva, sostenuta dalle autorità italiane, è stata contestata dalla Commissione, in quanto, non sussistevano motivi oggettivi che giustificano il rinnovo dei contratti.
In primo luogo, la direttiva 1999/70/Ce non impedisce allo Stato membro di elaborare provvedimenti specifici per un settore altrettanto specifico, purché la soluzione elaborata sia efficace. La Commissione ha contestato piuttosto il fatto che la soluzione non risulta abbastanza efficace da essere accettabile.
Inoltre, la Commissione non condivideva l’argomentazione italiana in base alla quale i contratti a tempo determinato sarebbero conformi ad una caratteristica specifica del settore scolastico e garantiscono la continuità dell’insegnamento. Le critiche della Commissione si appuntavano sul ricorso abusivo a tale contratto che, nella realtà dei fatti, serve a garantire la presenza di forza lavoro e non riguarda la sostituzione di personale assente.
Non è condivisibile, secondo la Commissione, nemmeno l’argomentazione riguardante il ricorso residuale ma obbligatorio a tale tipo di contratto per la necessità di garantire la continuità dell’insegnamento. I dati in possesso della Commissione attestavano un ricorso massiccio al rinnovo dei contratti a tempo determinato (nell’anno scolastico 2007/2008, più del 15 per cento del personale docente e circa il 31 per cento del personale ATA era a tempo determinato), in contraddizione con il carattere di sussidiarietà delle situazioni, attestato dalle autorità italiane. L’asserita possibilità per i docenti reclutati con più contratti successivi a tempo determinato di arricchirsi con una più vasta gamma di esperienza, assimilando tali periodi al periodo di prova, non era sostenibile in quanto non era prevista l’automatica conversione del contratto in un contratto a tempo indeterminato.
Inoltre, lo stesso ordinamento italiano (d.P.R. n. 1525/1963) non includeva l’attività didattica tra le attività di lavoro stagionale. Il fatto poi che uno stesso docente possa lavorare per più di venti anni con contratti di lavoro a tempo determinato contraddice l’esistenza delle ragioni oggettive invocate dalle autorità italiane (sostituzione e stagionalità).
Peraltro, pur avendo la Corte di cassazione con la sentenza n. 10127/2012[36] validamente considerate ragioni oggettive la necessità di coprire posti di insegnamento vacanti e disponibili o non vacanti e disponibili entro il 31 dicembre e di sostituire personale in congedo (si tratta, infatti, di misure equivalenti a quelle di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro), non risultava considerata dallo Stato italiano l’ulteriore giurisprudenza della Corte di giustizia europea che imponeva la verifica della situazione, al fine di escluderne il carattere di necessità fittizia.
Tale verifica avrebbe consentito, infatti, di accertare che, nel caso italiano, le assunzioni soddisfacevano un bisogno permanente di manodopera, non considerato tra le ragioni oggettive che giustificano il ricorso a più contratti a tempo determinato, sulla base della direttiva. La Commissione non condivideva nemmeno l’argomentazione italiana in base alla quale il nuovo contratto di lavoro a tempo determinato non costituiva la continuazione di quello precedente in quanto la stipula con il medesimo soggetto dipendeva dalla sua posizione nell’elenco di docenti non di ruolo. Sulla base della giurisprudenza della Corte europea, la Commissione ha affermato che tale interpretazione consentirebbe di assumere lo stesso docente con il medesimo tipo di contratto escludendolo di fatto dalle tutele della direttiva 1999/70/CE e svuotando la direttiva medesima e l’accordo quadro allegato del suo significato.
La Commissione, inoltre, non contestava la possibilità di uno Stato membro di recepire una direttiva mediante norme specifiche, aggiunte a quelle di carattere generale ma piuttosto il fatto che tali norme non erano abbastanza efficaci da essere accettabili. La Commissione non condivideva nemmeno l’argomentazione delle autorità italiane che hanno affermato di essersi avvalse della possibilità, prevista dalla direttiva, di creare deroghe o di escludere i contratti di lavoro nel settore della scuola dai requisiti stabiliti dalla direttiva, in ragione delle caratteristiche specifiche del settore. Infatti, la direttiva non prevedeva deroghe alla necessità di tutelare i lavoratori ma solo la possibilità di variare le modalità con cui garantire la tutela.
Ebbene, la Corte costituzionale prende atto al punto 16 della sentenza n.187 che la Commissione UE ha archiviato la procedura di infrazione n.2010-2124 aperta «nei confronti del nostro Paese per la violazione della stessa normativa dell’Unione…….senza sanzioni a seguito della difesa dell’Italia, argomentata con riferimento alla normativa sopravvenuta.».
Ma prende anche atto il Giudice delle leggi che, proprio per il personale ata nei cui confronti era stata attivata la procedura n.2010-2124, «invece, non è previsto alcun piano straordinario di assunzione e pertanto nei suoi confronti deve trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento del danno, misura del resto prevista – lo si è più volte ricordato – dal comma 132 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015, che quindi anche per questo aspetto deve ritenersi in linea con la normativa comunitaria.».
Pare anche evidente che la «misura ordinaria del risarcimento del danno» per il mancato adempimento alla direttiva 1999/70/CE e la mancata predisposizione di misure antiabusive preventive e sanzionatorie non possa essere quella prevista dalle Sezioni unite nella sentenza n.5072/2016, mai citata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 così come non è citato alcun precedente della Suprema Corte in subiecta materia, ma debba essere ricavata dai principi comunitari di effettività e di equivalenza ribaditi dalla sentenza Mascolo in relazione alla vera sanzione idonea a cancellare definitivamente le conseguenze dell’illecito comunitario, cioè la stabilità lavorativa.
Infatti, dopo la durissima censura della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 per avere escluso nella legge n.107/2015 il personale ATA dalla sanzione effettiva della stabilizzazione del precariato soltanto questi profili professionali della scuola pubblica, il MIUR è stato costretto a disporre l’immissione in ruolo di n.10294 posti di personale ATA, con decorrenza dal 1° settembre 2016 e per l’anno scolastico 2016/2017, senza ricorrere a nessun piano straordinario di assunzioni ma, semplicemente, riattivando per un più congruo numero di lavoratori da inserire stabilmente nei posti vacanti e disponibili già occupati come supplenti la procedura ordinaria prevista dal combinato disposto degli artt.399, comma 1 e 551, comma 1, D.Lgs. n.297/1994.
Per eliminare il precariato scolastico del personale ATA (ma, vedremo, anche quello del personale docente) non era necessario, dunque, arrivare alla procedura di infrazione della Commissione Ue e alla sentenza Mascolo della Corte di giustizia. Era sufficiente, invece, ripristinare i tradizionali meccanismi di reclutamento stabile rimuovendo le pratiche illecite amministrative del MIUR, finalizzate alla proliferazione delle supplenze prive di ragioni oggettive per supplire carenze strutturali di personale. Per far questo, in assenza di un Governo orientato al rispetto dei principi costituzionali ed europei, era purtroppo necessaria la censura della Corte costituzionale, per carenza della censura della giurisdizione di legittimità.
- L’estensione della misura della stabilizzazione a tutto il precariato pubblico, anche non scolastico, nell’ordinanza n.195/2016 della Corte costituzionale sui docenti precari dei Conservatori di musica. La sanzione adeguata dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 al punto 55 della sentenza Mascolo della CGUE
La soluzione “pratica” della Corte costituzionale sul precariato scolastico della stabilizzazione per la coazione indiretta delle Istituzioni europee e della stessa Consulta sul legislatore non può non estendersi a tutto il precariato pubblico, come puntualmente sottolineato in dottrina[37] e come si evince dall’ordinanza n.195/2016, che non riguarda i docenti della scuola pubblica del Comparto Afam ma i docenti dei Conservatori di musica del Comparto Afam, per i quali non opera il sistema di reclutamento pubblico scolastico previsto dal D.Lgs. n.297/1994.
Infatti, i ricorrenti nel giudizio principale dell’ordinanza n.33/2014 Reg.Ord. del Tribunale di Trento (che aveva già proposto nello stesso giudizio identica questione incidentale n.91/2012 Reg.Ord. dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.206/2013) sono tutti docenti di prima fascia (ex docenti di conservatorio e accademie delle belle arti ricompresi nella tabella A, colonna 9, del CCNL 15.3.2001 del comparto Scuola) e inquadrati nell’area professionale docenti CCNL AFAM relativo al personale del comparto delle Istituzioni di Alta formazione e Specializzazione Artistica e Musicale del 16 febbraio 2005, come modificato dal CCNL AFAM del 4 agosto 2010, attualmente in servizio a tempo determinato presso le Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione Artistica, operanti sul territorio nazionale.
Il sistema di reclutamento dei docenti dei Conservatori di musica del Comparto Afam
Tutti i ricorrenti sono stati inseriti nella graduatoria nazionale definitiva utile per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo determinato nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica (c.d. “graduatorie ex lege 128”, ai sensi dell’art.19, comma 2, d.l. n.104/2013), avendo superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie di istituto e avendo maturato, come risulta dalla narrativa delle due ordinanze di legittimità costituzionale nell’ambito dello stesso giudizio nn.91/2012 e 33/2014 Reg.ord. del Tribunale di Trento) almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette Istituzioni alla data di entrata in vigore dell’art.19, comma 2, d.l. n.104/2013, convertito con modificazioni nella legge n.128/2013, nei limiti dei posti vacanti disponibili.
Per i docenti delle Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione Artistica del Comparto Afam il ritardo nell’espletamento di concorsi pubblici per assunzione a tempo indeterminato risale a 25 anni fa, avendo durante questo lunghissimo periodo l’Amministrazione pubblica provveduto per lo più al reclutamento di docenti a tempo determinato per incarichi della durata di un anno su posti vacanti e disponibili in organico, con durata “ordinaria” dell’incarico “accademico” dal 1° novembre al 31 ottobre dell’anno successivo a quello del conferimento della supplenza. Nel 2001 fu bandito l’ultimo concorso riservato per titoli ed esami, che interessò una esigua parte di lavoratori, dato che il requisito di accesso al concorso era il possesso di almeno 360 giorni di servizio.
I rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra i ricorrenti e l’Amministrazione pubblica scaturiscono da contratti stipulati nella piena osservanza della disciplina interna in tema di reclutamento del personale docente delle Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione Artistica (art.2, comma 6, della legge n.508/1999), che consente di provvedere, ai fini del soddisfacimento delle esigenze didattiche non temporanee derivanti dalla legge di riforma delle predette Istituzioni, con ricorso alle supplenze annuali su posti di insegnamento vacanti ed effettivamente disponibili, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo, come previsto dall’art.4, commi 1 e 12 in combinato disposto, della legge n.124/1999.
Le singole Istituzioni AFAM, per far fronte a questa modalità di reclutamento e formare delle graduatorie utili al conferimento di incarichi annuali di supplenza sui posti vacanti che ogni anno si rendevano disponibili per via dei pensionamenti, hanno emanato bandi seguendo criteri di selezione stabiliti dalle note ministeriali n. 1672 del 7/10/2002 e n. 3154 del 9/6/2011, atte a disciplinare le procedure di reclutamento del personale docente per le supplenze del comparto AFAM, mantenendo fermo il principio per cui l’idoneità all’insegnamento deriva dal conseguimento di un minimo di 24 punti artistici.
Tutti i ricorrenti hanno maturato abilitazione o idoneità all’insegnamento e, prima di essere inseriti nelle graduatorie nazionali “ex lege 128”, sono stati reclutati attraverso le graduatorie dei singoli Istituti in cui avevano maturato l’idoneità. Val la pena ricordare che, prima dell’emanazione della nota ministeriale 3154 del 9/6/2011, le graduatorie di istituto potevano avere una durata maggiore del triennio e, anche dopo l’emanazione della suddetta nota, le graduatorie potevano di fatto venire semplicemente aggiornate dopo la scadenza.
Viceversa, i docenti precari che hanno prestato servizio per (soli) 360 giorni nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e musicale (AFAM) alla data di entrata in vigore della legge n.143/2004 (cioè 12 anni fa), sono stati inseriti in apposite e specifiche graduatorie nazionali, previa valutazione dei titoli artistico-professionali e culturali e senza necessità di alcuna idoneità o abilitazione all’insegnamento, ai sensi dell’art.2-bis d.l. n.97/2013.
In effetti, dopo quasi dieci anni l’art.19, comma 1, d.l. n. 104/2013 ha previsto che tutte le graduatorie nazionali di cui all’art. 2-bis d.l. n.97/2013 sono trasformate in graduatorie nazionali a esaurimento, utili per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento con contratto a tempo indeterminato e determinato, mentre dalle graduatorie nazionali “ex lege 128” (art.19, comma 2, d.l. n.104/2013) l’Amministrazione pubblica ha attinto, dopo l’attribuzione degli incarichi annuali a chi è inserito nella graduatoria permanente ad esaurimento “ex lege 143” (art.19, comma 1, d.l. n.103/2013), soltanto per l’attribuzione di incarichi di insegnamento annuale a tempo determinato, nonostante si tratti di posti vacanti e disponibili nell’organico dei singoli Istituti e nonostante il possesso di abilitazione o idoneità all’insegnamento che ne legittimerebbe l’assunzione a tempo indeterminato.
Infatti, l’art.2, comma 1, del D.M. 30 giugno 2014, n.526 ha fissato le seguenti condizioni per l’ammissione nelle graduatorie nazionali ex lege 128 (art.19, comma 2, d.l. n.104/2013), riservandola al «personale docente che non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e che sia incluso in graduatorie d’istituto costituite a seguito di concorso selettivo e che, alla data del presente decreto, abbia maturato, a decorrere dall’anno accademico 2001-2002, almeno tre anni accademici di insegnamento, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratto di collaborazione continuata e continuativa o altra tipologia contrattuale nelle medesime istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica.».
Val la pena di ricordare che nella scuola statale, fino alla legge n.107/2015 e al piano straordinario di immissione in ruolo ivi previsto dall’art.1, commi 95 ss., vigeva (e sostanzialmente vige ancora oggi) il sistema del doppio canale, ovvero, le assunzioni a tempo indeterminato avvenivano seguendo il principio per cui il MIUR attingeva per il 50% dalle graduatorie ad esaurimento e per il 50% dalle graduatorie concorsuali prima dei vincitori e degli idonei fino al concorso bandito nel 1999, poi dei soli vincitori per il concorso bandito nel 2012 dopo 13 anni da quello precedente.
Va precisato che non solo le graduatorie ex lege 143/2004 trasformate ad esaurimento con il d.l 104/2013 (art.19, comma 1) non sono rappresentazione del 50% delle cattedre vacanti e disponibili, ma le stesse graduatorie nazionali per effetto della legge 128/2013 (art.19, comma 2, d.l. n.104/2013) e del DM 526/2014 non sono riuscite di fatto a coprire la totalità delle posizioni vacanti e disponibili per assenza di titolare, lasciando la copertura dell’organico docente residuo ancora alle graduatorie di istituto.
Tuttavia, il Governo Letta (come per i docenti del Comparto Scuola con l’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013) aveva anche previsto la possibilità per il MIUR, fino al 31 dicembre 2016, di stabilizzazione dei docenti del Comparto AFAM in possesso del requisito dei 36 mesi di servizio e della idoneità all’insegnamento, attraverso concorsi ad essi esclusivamente riservati, ai sensi dell’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013, semplicemente attingendo nella misura massima del 50% dei posti vacanti e disponibili dalla graduatoria nazionale degli idonei elaborata sulla base dell’art.19, comma 2, dello stesso D.L. n.101/2013.
Il Governo Renzi non ha dato alcun seguito al piano di stabilizzazione dei docenti precari del Comparto Afam, predisposto nel D.L. n.101/2013 dal Governo Letta e il quadro normativo nel settore dei Conservatori di musica è rimasto del tutto sprovvisto di misure antiabusive.
La mancanza totale di misure antiabusive per i docenti dei Conservatori di musica e l’ordinanza n.195/2016 della Corte costituzionale
Ebbene, nonostante questa situazione di totale inadempimento alla direttiva 1999/70/CE per i docenti precari del Comparto Afam, anche in questo caso (come nell’ordinanza n.194/2016) il Giudice delle leggi non ha dichiarato l’illegittimità costituzionale richiesta nell’ordinanza del Tribunale di Trento dell’art.2, comma 6, della legge n.508/1999, in quanto detta norma statale consentirebbe di provvedere, ai fini del soddisfacimento delle esigenze didattiche non temporanee derivanti dalla legge di riforma dei Conservatori di musica, alle quali non si possa far fronte nell’ambito delle dotazioni organiche, «esclusivamente mediante l’attribuzione di incarichi di insegnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili», in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione del personale docente di ruolo, così da configurare la possibilità dell’utilizzazione di una successione di contratti a tempo determinato senza la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi.
Viceversa, la Corte costituzionale ha rinviato la causa al giudice rimettente per la valutazione circa la perdurante rilevanza della questione, alla luce di due “normative” sopravvenute: lo «ius superveniens» della sentenza Mascolo e la «riforma “di sistema”» (l’espressione e il virgolettato sono testuali nell’ordinanza n.195/2016) della legge n.107/2015, che evidentemente, pur riguardando la “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, non prevede nessuna regolamentazione e nessuna norma che intervenga sul rapporto di lavoro e sul reclutamento del personale del Comparto Afam.
Quindi, l’unico parametro di riferimento che avrà il Tribunale di Trento per risolvere la situazione di precarietà permanente del personale docente dei Conservatori di musica sarà rappresentato dalla sentenza Mascolo, che, come è noto, non prende posizione soltanto sulle pregiudiziali Ue sollevate dalla Corte costituzionale, ma fornisce precise indicazioni all’altro giudice nazionale rimettente (Tribunale di Napoli) nella causa Russo C-63/13 circa la sanzione adeguata ed energica da applicare come sanzione in caso di abusivo utilizzo dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego non scolastico, cioè l’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 (sentenza Mascolo, punto 55; già ordinanza Affatato[38], punto 48), per evitare la violazione del principio di leale cooperazione di cui all’art.4, comma 3, del Trattato dell’Unione europea (sentenza Mascolo, punti 59-61).
Infatti, la risposta “complessiva” della Corte di giustizia nella sentenza Mascolo alle istanze pregiudiziali proposte dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli ha abbracciato anche le (vane) sollecitazioni del Giudice delle leggi ai Giudici nazionali con l’ordinanza n.206/2013 di (ri)proporre le questioni di legittimità costituzionale collegate al sistema di reclutamento scolastico limitandole alle norme che impedivano l’applicazione di una tutela effettiva di stabilizzazione del posto di lavoro, come l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, del D.Lgs. n.368/2001.
L’ordinanza n.206/2013 della Corte costituzionale e l’inammissibilità “mirata” (e incompresa) delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Trento
Con l’ordinanza n.206/2013 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 proposte dal Tribunale di Trento con cinque ordinanze nn.283 e 284 del 2011 e nn.31, 32 e 130 del 2012 in termini identici a quelli dichiarati (invece) ammissibili delle due ordinanze nn.143 e 144 del 2012 del Tribunale di Roma e delle due ordinanze nn.248 e 249 del 2012 del Tribunale di Lamezia Terme, queste ultime quattro ordinanze oggetto della richiesta di rinvio pregiudiziale con l’ordinanza n.207/2013 e poi decise con la sentenza n.187/2016.
Così ha giustificato il Giudice delle leggi il trattamento differenziato (inammissibilità per il Tribunale di Trento; rinvio pregiudiziale per i Tribunali di Roma e Lamezia Terme) di ordinanze con identico contenuto motivazionale e identica norma di legge di cui veniva richiesta la declaratoria di illegittimità costituzionale – art.4, comma 1, della legge n.124/1999 – per violazione degli artt.11 e 117, comma 1, Cost. in relazione alla clausola 5 dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE: «considerando….che la generale preclusione della possibilità di trasformare i contratti a tempo determinato nel settore pubblico in contratti a tempo indeterminato è stata specificamente ribadita per il settore scolastico con l’inserimento – previsto dall’art. 1, comma 1, decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), convertito con modifiche dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2009, n. 167 – del comma 14-bis nell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, secondo il quale i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze di cui ai commi 1, 2 e 3 del medesimo articolo «possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo»; che il successivo art. 9, comma 18, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106 – disposizione della quale fa menzione anche il giudice a quo – nell’aggiungere il comma 4-bis all’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, ha previsto che sono esclusi dall’applicazione di quel decreto «i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato»; che la norma ora richiamata ha altresì stabilito che non trova applicazione, al personale scolastico, l’art. 5, comma 4-bis, del medesimo decreto n. 368 del 2001, che è la disposizione in base alla quale, in caso di reiterazione di contratti a termine, fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per un tempo complessivamente superiore ai trentasei mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato».
In base al combinato disposto delle due ordinanze nn.206 e 207 del 2013 del Giudice delle leggi, dunque, tutte le dieci ordinanze di legittimità costituzionale dei Tribunali di Trento (n.6), di Roma (n.2) e di Lamezia Terme (n.2) sull’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 (di cui una n.91/2012 sull’art.2, comma 6, della legge n.508/1999, cioè sull’analoga norma prevista per il reclutamento dei docenti dei Conservatori di musica, che comunque rimanda al reclutamento di cui all’art.4 della legge n.124/1999) erano inammissibili, perché proponevano una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che autorizzava le assunzioni con supplenza annuale, per contrasto con la direttiva 1999/70/CE, senza però individuare la sanzione rispetto all’eventuale censura della Corte costituzionale, se non attraverso la generica possibilità di accogliere la domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell’art.36, comma 5, del D.Lgs. n.165/2001, nel caso di declaratoria di incostituzionale della norma sul legittimo reclutamento scolastico per supplenze annuali.
Infatti, il presupposto da cui partivano tutti i Giudici nazionali era la mancanza di tutele preventive nel sistema di reclutamento scolastico e quindi l’incompatibilità con la clausola 5, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ma tale presupposto muoveva da argomentazioni erronee, cioè che il d.lgs. n.368/2001 e, in particolare, la clausola di durata dei 36 mesi di cui all’art.5, comma 4-bis non si applicava al settore scolastico per la sua assoluta specialità, come confermato dalle due norme dell’art.4, comma 14-bis.
Tuttavia, sul punto le ordinanze del Tribunale di Roma e di Lamezia Terme divergevano profondamente da quelle di Trento.
Le prime (che in realtà erano state proposte successivamente a quelle del Tribunale di Trento e ne ricalcavano sostanzialmente l’impianto motivazionale, come detto) ammettevano l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 anche al pubblico impiego scolastico, ma ne escludevano gli effetti della riqualificazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine in ragione del divieto di conversione posto dall’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001, avallato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 sui collaboratori scolastici e, quindi, sullo stesso sistema di reclutamento scolastico dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999.
La stessa Corte di giustizia con la sentenza Marrosu-Sardino aveva optato, inizialmente, per la compatibilità comunitaria prima facie dell’art.36, comma 5 (all’epoca comma 2), d.lgs. n.165/2001 proprio accettando questa ricostruzione giuridica delle norme interne in materia proposta dalla Corte costituzionale e seguita dai Giudici nazionali (cfr. sentenza Marrosu-Sardino, punto 55).
Le ordinanze di legittimità costituzionale dei Tribunali di Trento e quelle dei Tribunali di Roma e Lamezia Terme sul precariato scolastico: identità e diversità
Viceversa, le sei ordinanze del 2011-2012 del Tribunale di Trento escludevano tassativamente l’applicabilità del d.lgs. n.368/2001 sulla base di un argomento erroneo, e cioè che l’art.70, comma 8, primo periodo, d.lgs. n.165/2001 estendeva le norme del decreto anche al settore della scuola, ma il d.lgs.n.368/2001 non era citato tra le fonti regolative del contratto a tempo determinato, dal momento che l’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001 nella versione trascritta dal Tribunale di Trento citava ancora la legge n.230/1962. Non si era accorto il Tribunale di Trento, purtroppo, che il d.lgs. n.368/2001 era stato inserito al posto della legge n.230/1962 dal Governo Berlusconi con decorrenza dal 25 giugno 2008, con le modifiche introdotte dall’art.49 del d.l. n.112/2008 la nuova versione dell’art.36, comma 2, d.lgs. n.165/2001.
Insomma, il Tribunale di Trento affermava la totale inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001 a conferma dell’integrale inadempimento del legislatore nazionale nel recepire la direttiva 1999/70/CE per il settore scolastico, nonostante la Corte di giustizia al punto 48 della ordinanza Affatato del 1 ottobre 2010 nella causa C-3/10 avesse valutato applicabile a tutto il pubblico impiego, e quindi anche a quello scolastico, la sanzione della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi con mansioni equivalenti, recependo le espresse indicazioni del Governo italiano al punto 60[39] delle osservazioni scritte dell’Avvocatura dello Stato.
Il Tribunale di Trento, come quelli di Roma e Lamezia Terme, infatti, si era affidato sul punto ad autorevole dottrina[40], che aveva neutralizzato gli effetti dell’ordinanza Affatato, (a giudizio di chi scrive) apoditticamente rilevando che l’affermazione della Corte di giustizia sull’adeguatezza sanzionatoria dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n. 368/2001 era un obiter dictum, un’affermazione incidentale senza alcun valore sostanziale.
Tutte le dieci ordinanze di legittimità costituzionale dei Tribunali di Trento (6), di Roma (2) e di Lamezia Terme (2) sull’art.4, comma 1, della legge n.124/1999 (di cui una sull’art.2, comma 6, della legge n.508/1999 sull’analoga norma prevista per il reclutamento dei docenti dei Conservatori di musica, che comunque rimanda al reclutamento di cui all’art.4 della legge n.124/1999) erano inammissibili, perché proponevano una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che autorizzava le assunzioni con supplenza annuale, per contrasto con la direttiva 1999/70/CE, senza però individuare la sanzione rispetto all’eventuale censura della Corte costituzionale.
Infatti, il presupposto da cui partivano tutti i Giudici nazionali era la mancanza di tutele preventive nel sistema di reclutamento scolastico e quindi l’incompatibilità con la clausola 5, n.1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ma tale presupposto muoveva da argomentazioni erronee, cioè che il d.lgs. n.368/2001 e, in particolare, la clausola di durata dei 36 mesi di cui all’art.5, comma 4-bis non si applicava al settore scolastico per la sua assoluta specialità, come confermato dalle due norme dell’art.4, comma 14-bis.
Tuttavia, sul punto le ordinanze del Tribunale di Roma e di Lamezia Terme divergevano profondamente da quelle di Trento.
Le prime ammettevano l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 anche al pubblico impiego scolastico, ma ne escludevano gli effetti della riqualificazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine in ragione del divieto di conversione posto dall’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001, avallato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 sui collaboratori scolastici per difendere la legittimità ed esclusività dello stesso sistema di reclutamento scolastico dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999, che sarebbe stato invece dichiarato illegittimo dalla sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale.
Le ordinanze del Tribunale di Trento sono state depositate a fine 2001 – inizi del 2002, sei mesi prima di quelle di Roma e di Lamezia Terme, e, per quanto viziate nella ricostruzione della normativa interna sulla ritenuta non applicabilità del d.lgs. n.368/2001, evidenziavano comunque il dato oggettivo della mancanza delle tutele antiabusive imposte dalla direttiva 1999/70/CE.
Le sentenze del 2012 della Cassazione sul precariato pubblico e il tentativo di neutralizzare le pregiudiziali costituzionali pendenti e quelle comunitarie de iure condendo
Come è noto, per neutralizzare le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Tribunale di Trento con le prime due ordinanze di legittimità costituzionale sul precariato scolastico nn.283 e 284 del 2011, ed impedire la proliferazione del contenzioso sul risarcimento dei danni per abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, con sentenza n.392/2012 del 13 gennaio 2012 la Cassazione fissava il principio di diritto che era onere esclusivo del lavoratore quello di provare il risarcimento del danno subito in caso di abusivo ricorso al contratto a termine nel pubblico impiego e che il d.lgs. n.368/2001 e, in particolare, l’art.5 sui contratti successivi non si applicava ai lavoratori precari pubblici, non operando la conversione in contratto a tempo indeterminato, come sarebbe stato confermato dall’ordinanza Affatato della Corte di giustizia, che ovviamente (almeno per chi scrive) afferma l’esatto contrario.
La sentenza n.392/2012 della Cassazione viene “protetta” nella sua apodittica affermazione di compatibilità della disciplina nazionale con l’ordinamento Ue dalla relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011 del 26 gennaio 2012, che a pag. 18 richiama la sentenza del 20 settembre 2011 della Corte EDU nel caso Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, che il mancato adempimento dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto per gli organi di ultima istanza dall’art. 267 TFUE non dà luogo ad una violazione dell’art. 6 par. 1, della Cedu quando sia fornita adeguata motivazione dalla Cassazione del mancato rinvio. Il che equivale, implicitamente, ad affermare che è sufficiente per il Giudice di ultima istanza motivare il rifiuto di adempiere all’obbligo di rinvio pregiudiziale, come avverrà con la sentenza n.10127/2012, a prescindere dalla fondatezza della motivazione.
Infatti, come è noto, la Cassazione con la sentenza n.10127 del 20 giugno 2012 ha affermato che il sistema di reclutamento scolastico era legittimo e compatibile con l’ordinamento comunitario e con le sentenze Angelidaki e Kücük[41] della Corte di giustizia e diffidando i Giudici nazionali a non rivolgersi alla Corte di Lussemburgo per chiedere chiarimenti, perché la sentenza Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio della Cedu, secondo la Suprema Corte, consentiva il legittimo e motivato rifiuto del rinvio pregiudiziale.
Come nelle ordinanze del Tribunale di Trento, la Cassazione nella sentenza n.10127/2012 ha evidenziato l’inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001 con un gioco di prestigio, facendo cioè sparire il primo periodo dell’art.70, comma 8, d.lgs. n.165/2001 e il richiamo interno all’art.36, comma 2, dello stesso decreto, in modo tale da occultare il richiamo al d.lgs. n.368/2001 che in quest’ultima norma era espressamente contenuto. Il malcapitato docente a cui è stato negato ogni diritto è un insegnante I.T.C. che aveva superato i 36 mesi nella scuola pubblica, cui è stata negata per sempre ogni tutela per aver negato la legge n.107/2015 ogni possibilità di immissione in ruolo a questa categoria di docenti abilitati con vari anni di precariato.
La relazione n.190 del 24 ottobre 2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sui precari della scuola ha incrinato nelle fondamenta questa complessa operazione di salvataggio delle finanze pubbliche, legittimando sul piano del contrasto culturale e giuridico all’interno della Suprema Corte il rinvio pregiudiziale Ue del Tribunale di Napoli con le tre contestuali ordinanze di gennaio 2013 sui supplenti della scuola e con quella sul precariato non scolastico degli educatori comunali.
Le pregiudiziali Ue del Tribunale di Napoli e la censura della Commissione europea all’inadempimento alla direttiva 1999/70/CE per tutto il precariato scolastico
In ogni caso, il Tribunale di Napoli sceglie nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale UE di non attaccare la sentenza n.10127/2012 della Cassazione ma il comportamento dello Stato italiano nella causa Affatato e la sleale cooperazione con la Corte di giustizia.
Inoltre, nelle osservazioni scritte depositate il 25 aprile 2013 relativamente alla causa pregiudiziale Papalia C-50/13 promossa dal Tribunale di Aosta – nell’ambito di un giudizio principale del maestro della banda musicale del Comune di Aosta che lamentava l’abuso contrattuale di quasi trent’anni di ininterrotto servizio precario alle dipendenze della pubblica amministrazione senza possibilità di stabilizzazione del rapporto e senza il risarcimento dei danni negato sul piano interpretativo dalla sentenza n.392/2012 della Cassazione, stante il presunto divieto dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001 – la Commissione Ue aveva concluso nel senso dell’incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001[42], così modificando la posizione “agnostica” espressa nelle cause Marrosu-Sardino e Vassallo C-54/04 e C-180/04 e “semiagnostica” nella causa Affatato C-3/10.
Dunque, la Corte costituzionale era perfettamente al corrente, al momento in cui sono state adottate le due ordinanze nn.206-207/2013, del fatto che, in ambito comunitario, come risulterà pochi mesi dopo con l’ordinanza Papalia della Corte di giustizia del 12 dicembre 2013 nella causa C-50/13, era ormai in via di accertamento definitivo l’incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001 e la totale carenza di tutele antiabusive per tutto il precariato pubblico.
La misura effettiva dell’art.5, comma 4-bis, D.lgs. n.368/2001 nell’ordinanza n.206/2013 della Corte costituzionale
In conseguenza, le condizioni di inammissibilità delle sei ordinanze del Tribunale di Trento erano legate alla sanzione antiabusiva dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 richiesta dal lavoratore nel giudizio principale della causa incidentale n.31/2012 (identica a quella degli altri lavoratori), in relazione alla quale l’ordinanza n.206/2013 ha riconosciuto «che l’atto di costituzione contiene una dettagliata ricostruzione delle principali pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea su tale argomento, fino all’ordinanza 1° ottobre 2010 (in causa C-3/10, Affatato) ed alla sentenza 26 gennaio 2012 (in causa C-586/10, Kucuk), alla luce delle quali il Russo conclude nel senso che la trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato può essere raggiunta disapplicando la normativa interna che vieta tale possibilità per il solo personale della scuola, in tal modo entrando in contrasto con la disciplina comunitaria».
E’ evidente che l’Estensore dell’ordinanza n.206/2013 non escludesse la correttezza interpretativa della lettura – «dettagliata ricostruzione» – che era stata proposta dal lavoratore in merito alla pertinente giurisprudenza comunitaria, e che andava in direzione opposta rispetto all’interpretazione delle stesse pronunce fatta dalla Cassazione nelle due sentenze del 2012, anche per quanto riguarda l’assunta inapplicabilità del d.lgs. n.368/2001.
In conseguenza, la Corte costituzionale il 18 luglio 2013 ha risposto in due modi. Da un lato con l’ordinanza n.206/2013 ha riconosciuto l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 anche al pubblico impiego scolastico (come evidenziato dalla sentenza Mascolo al punto 14[43]), sconfessando la posizione assunta dalla Cassazione nella sentenza n.10127/2012 ma, proprio per questo, non ha potuto accogliere le domande dei lavoratori di applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 come se fosse il Giudice della causa, perché vi erano le due norme ostative all’applicazione della tutela, l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 che non sono state sottoposte a scrutinio di costituzionalità, e ciò non consentiva l’intervento censorio e risolutivo del Giudice delle leggi.
Dall’altro lato, pur essendo palesemente inammissibili anche le ordinanze dei Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, le ha riunite e le ha rimesse alla Corte di giustizia con l’ordinanza pregiudiziale n.207/2013, manifestando così alla Corte europea sia l’adesione “etica” e giuridica alle ordinanze pregiudiziali del Tribunale di Napoli sia l’esigenza di rallentare la definizione delle cause pregiudiziali sul precariato scolastico e non scolastico, per consentire all’ordinamento interno e alla stessa Corte costituzionale di trovare le soluzioni senza arrivare alla sentenza definitiva dei Giudici di Lussemburgo.
La Corte costituzionale, dunque, già con le ordinanze nn.206 e 207 del 2013 aveva condiviso le ordinanze pregiudiziali del Tribunale di Napoli e la soluzione della stabilizzazione del precariato pubblico come unica soluzione effettiva contro gli abusi nella successione dei contratti a termine nel caso di legittimo reclutamento nel pubblico impiego, e non aveva condiviso la prospettazione dei Tribunali di Trento, Lamezia Terme e Roma, che escludevano la sanzione della riqualificazione perché ritenevano ancora operante l’art.36, comma 5, del d.lgs. n.165/2001 e il divieto di conversione e puntavano soltanto al risarcimento dei danni, peraltro non quantificati e non quantificabili dalla norma sul piano dell’onere della prova.
La misura effettiva dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 nella sentenza Mascolo della Corte di giustizia. La stabilizzazione dei precari del Quirinale
Infatti, la Corte di Lussemburgo ai punti 55, 59-61 della sentenza Mascolo, nel confermare per il pubblico impiego non scolastico l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 come misura adeguata ed energica a rimuovere l’«illecito comunitario» (espressione utilizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 e nelle due contestuali ordinanze nn.194-195/2016 nel definire la mancanza di almeno una delle misure preventive antiabusive previste dalla direttiva 1999/70/CE), ha sollecitato la leale cooperazione dello Stato (Tribunale di Napoli nella fattispecie concreta della causa Russo C-63/13) nell’adozione della sanzione della stabilizzazione.
Non è stato un caso lo straordinario atto di stile e di dignità del Presidente della Repubblica che, con il decreto n.29/C/2016 di aprile 2016 di cui ha dato informazione soltanto il giornale “Il fatto quotidiano”, ha disposto la stabilizzazione dei precari del Quirinale che hanno superato i 36 mesi di servizio, (testualmente, nel decreto) in applicazione della normativa interna (art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001) e dei principi europei (direttiva 1999/70/CE e clausola 5 dell’accordo quadro), come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria (ordinanza Affatato, punto 48; sentenza Mascolo, punto 55), nonostante l’Organo costituzionale non fosse obbligato ad attuarli.
Si trattava di un chiaro segnale, dopo la sentenza n.5072/2016 della Cassazione a Sezioni unite, nella direzione della stabilizzazione di tutti i rapporti precari nel pubblico impiego, rivolto anche alla Corte costituzionale, che avrebbe dovuto decidere le questioni sul precariato scolastico all’udienza del 17 maggio 2016, nell’ambito dei quattro giudizi di legittimità costituzionale già rimessi alla Corte di giustizia con l’ordinanza n.207/2013, di cui il Presidente Mattarella è stato l’Estensore, unitamente all’ordinanza “gemella” n.206/2013.
In quest’ottica di coerente leale cooperazione tra le Istituzioni europee e gli Organi costituzionali nazionali (Presidente della Repubblica e Corte costituzionale) di applicare la sanzione energica della stabilizzazione del precariato pubblico, si colloca appunto l’inesorabile soluzione interpretativa/legislativa che la Corte costituzionale ha adottato con la sentenza n.187/2016 nei confronti del Governo, che costringerà il MIUR a mantenere nei confronti di tutti i precari scolastici (docenti, educatori e personale ATA) gli impegni di stabilizzazione assunti dal Governo Letta già a settembre 2013 (v. infra) e stravolti dal Governo Renzi con la legge n.107/2015, in ottemperanza delle indicazioni che lo stesso Giudice delle leggi aveva fornito con le due ordinanze nn.206 e 207 del 2013 sia al legislatore d’urgenza sia alla giurisprudenza nazionale.
L’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 a tutto il precariato pubblico non scolastico, nell’interpretazione “sistematica” delle ordinanze nn.206/2013 e 195/2016 della Corte costituzionale
In conclusione, ai docenti precari dei Conservatori di musica, ricorrenti nel giudizio principale su cui il Tribunale di Trento ha sollevato ben due identiche questioni di legittimità costituzionale con le due ordinanze nn.91/2012 e 33/2014 Reg.Ord., su cui la Corte costituzionale si è pronunciata rispettivamente prima con l’ordinanza n.206/2013 ed ora con l’ordinanza n.195/2016, alla luce delle chiarissime indicazioni del Giudice delle leggi dovrà applicare l’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001, norma applicabile ratione temporis in mancanza delle norme ostative al riconoscimento della tutela effettiva (che, per il precariato scolastico, erano appunto l’art.4, comma 14-bis, legge n.124/1999 e l’art.10, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001, non applicabili ai docenti del Comparto Afam), rendendo effettivi la sanzione di cui al punto 55 della sentenza Mascolo e il principio di leale cooperazione con la Corte di giustizia, che la Consulta ha condiviso e costruito nel dialogo con la Corte comunitaria, nonostante l’opposto atteggiamento mostrato dalla gran parte della giurisprudenza di merito e dalla recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione.
Naturalmente, le stesse regole (cioè l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 in presenza di contratti a tempo determinato che abbiano superato 36 mesi di servizio anche non continuativi) e la misura della stabilità lavorativa deve essere adottata per tutto il precariato pubblico non scolastico.
Non è un caso che, stante la valenza generale del principio della stabilizzazione dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego come unica misura idonea a sanzionare a sanzionare gli abusi nella successione contrattuale, anche per gli educatori degli asili comunali (causa Russo C-63/13 in Corte di giustizia, su cui la Corte si pronuncia espressamente al punto 55 della sentenza Mascolo) è stato disposto dall’art.17 D.L. n.113/2016 (convertito con modificazioni dalla legge n.160/2016) un piano triennale di stabilizzazione del personale precario che ha maturato i 36 mesi di servizio anche non continuativi con concorsi riservati esclusivamente ad essi, così realizzando con tre anni di ritardo quanto già previsto dal Governo Letta con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e quanto già disposto dal Comune di Napoli un anno e mezzo prima in via amministrativa, sulla base delle indicazioni precisissime della sentenza Mascolo nella causa Russo e della conseguente decisione del Tribunale di Napoli del 6 maggio 2015, che aveva prontamente stabilizzato in via giudiziale la lavoratrice.
- L’ordinanza di rinvio pregiudiziale UE del Tribunale di Trapani sull’inadeguatezza della sanzione solo risarcitoria “scoperta” dalle Sezioni unite della Cassazione
Con la recentissima ordinanza del 5 settembre 2016 il Tribunale di Trapani, in evidente contrasto logico e argomentativo con la soluzione del danno comunitario enunciata dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n.5072/2016, ha sollevato due nuove questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia Ue proprio sul principio di equivalenza e di effettività della sanzione solo indennitaria dell’art.32, comma 5, della legge n.183/2010, individuata dalla Suprema Corte come misura “energica”: «1) Se rappresenti misura Equivalente ed Effettiva, nel senso di cui alle pronunce della Corte di Giustizia Mascolo (C-22/13 e riunite) e Marrosu (C-53/04), l’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione (art. 32 co. 5° L. 183/2010) al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l’integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto. 2) Se, il principio di Equivalenza menzionato dalla Corte di Giustizia (fra l’altro) nelle dette pronunce, vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato.».
Anche nella sentenza n.5072/2016 (e nelle sentenze “contestuali” nn.4911, 4912, 4913, 4914/2016) delle Sezioni unite la Suprema Corte ha sostanzialmente rilevato l’inadempimento alla direttiva 1999/70/CE da parte del legislatore per tutto il precariato pubblico non scolastico, per assenza di una specifica sanzione antiabusiva idonea a rimuovere l’illecito comunitario.
Tuttavia, come evidenziato in dottrina[44] le Sezioni Unite nelle sentenze nn.4911, 4912, 4913, 4914/2016 hanno ignorato le pregiudiziali comunitarie sul principio di equivalenza proposte nelle memorie ex art. 378 c.p.c. dai lavoratori, che erano parti resistenti e senza ricorso incidentale, rispetto a sentenze che avevano riconosciuto un risarcimento del danno pari a venti mensilità della ultima retribuzione, in applicazione analogica dell’art. 18, co. 4 e 5, l. n. 300/1970, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla l. n. 92/2012.
Si trattava di richieste segnatamente dirette a verificare la conformità all’ordinamento Ue degli artt. 36, co. 5, 5-ter e 5-quater, d.lgs. n. 165/2001 e ora dell’art.29, co. 4, d.lgs. n. 81/2015, nella parte in cui differenziano i contratti di lavoro a termine stipulati con la pubblica amministrazione da quelli con datori di lavoro privati o enti pubblici economici, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di applicazione delle “regole interne” di corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE sulla successione dei contratti a termine e sul principio di non discriminazione (cfr. d.lgs. n. 368/2001 dal 24 ottobre 2001 al 24 giugno 2015), senza prevedere alcuna sanzione equivalente, configurandosi il risarcimento del danno in caso di “prestazione in violazione di disposizioni imperative”, quale riconosciuto ex lege, alla stregua di una misura finalizzata a riparare un difetto genetico del contratto, giammai l’abuso derivante dall’illegittimo utilizzo di contratti stipulati nel rispetto delle procedure selettive di accesso all’impiego pubblico.
Le condivisibili argomentazioni della nuova ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trapani sul precariato pubblico non scolastico riguardano una domanda di riqualificazione a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine successivi di durata ben superiore a 3 anni con lo stesso datore di lavoro pubblico (ente locale), fondata sull’inadempimento alla direttiva 1999/70/CE dello Stato italiano.
Si pone, dunque, un grave problema di violazione dell’art.267, comma 3, TUEF dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte della Cassazione a Sezioni unite come Giudice di ultima istanza, poiché l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del giudice del lavoro siciliano riguarda esattamente il quesito sulla nozione comunitaria di sanzione effettiva ed equivalente contro l’abusivo utilizzo dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, su cui la Suprema Corte si è rifiutata immotivatamente di rimettere la questione alla Corte di giustizia, come già accaduto con la sentenza n.10127/2012 della Sezione lavoro.
La stessa sentenza n.5072/2016 della Suprema Corte nel suo massimo Consesso si è posta, peraltro, il problema della non manifesta infondatezza e rivelanza della questione di legittimità costituzionale delle norme ostative alla tutela effettiva, non ricorrendo alla fine al Giudice delle leggi per la scelta autoctona (e comunque sbagliata, per la pendenza dei giudizi poi definiti dalla Corte costituzionale con la sentenza n.187/2016 e con le due ordinanze nn.194-195/2016) di risolvere il contenzioso seriale del precariato pubblico non scolastico sul piano dell’interpretazione adeguatrice.
Sicuramente, la sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale, prima ancora del rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trapani, toglie alla decisione delle Sezioni unite la condizione di soluzione definitiva della sanzione energica, effettiva, equivalente, dissuasiva, preventiva in caso di abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, nella parte in cui detta sanzione è stata limitata al risarcimento del danno “comunitario” di cui all’art.32, comma 5, della legge n.183/2010, nella sola misura dell’indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità di retribuzione e con esclusione della conversione a tempo indeterminato, pure prevista dalla norma sanzionatoria applicabile ai lavoratori precari privati.
In questa complessa e, purtroppo, inevitabile (e inedita) situazione di contrasto interpretativo tra giudice del lavoro di 1° grado e Cassazione a Sezioni unite, sarebbe auspicabile, proprio alla luce della recente decisione del Giudice delle leggi e alla scelta della Corte costituzionale di individuare nella stabilizzazione dei rapporti precari nel pubblico impiego scolastico la misura più idonea a rimuovere definitivamente le conseguenze dell’illecito comunitario commesso dal legislatore per l’inadempimento alla direttiva 1999/70/CE nei confronti dei lavoratori precari nel pubblico impiego non scolastico (su cui pende anche procedura di infrazione n.2014/4231 ancora nella fase EU PILOT, attivata dalla Commissione Ue sugli stessi presupposti della procedura di infrazione n.2010/2124 sul precariato scolastico), che qualche giudice nazionale ricorra all’incidente di costituzionalità che anche le Sezioni unite nella sentenza n.5072/2016 avevano ipotizzato come ammissibile.
Infatti, la contestuale pendenza di giudizio pregiudiziale davanti alla Corte di Lussemburgo (peraltro «avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie sentenze sull’argomento», come già precisato nell’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale) sulla stessa problematica, non esclude (anzi rafforza, potendosi trovare la soluzione definitiva all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale) la facoltà di sollevare l’incidente di costituzionalità e lasciare così che sia il Giudice delle leggi e non la Corte europea a risolvere definitivamente il problema del precariato pubblico.
Del resto, la Corte costituzionale con l’ordinanza n.206/2013 aveva consigliato al Tribunale di Trento di effettuare una nuova rimessione della questione di legittimità costituzionale mirata a rimuovere le norme che impedivano l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001. Seppure tardivamente, dopo tre anni, questa strada dovrebbe essere ancora percorsa.
- La continuità “innovativa” della giurisprudenza della Corte costituzionale sul reclutamento scolastico e nelle pubbliche amministrazioni in generale
La sentenza n.5072/2016 della Cassazione a Sezioni unite, nel riaffermare il principio del divieto assoluto di conversione dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, richiama la «autorevole» sentenza n.89/2003 della Corte costituzionale, che tale principio aveva fissato per una fattispecie di collaboratori scolastici.
Si è già precisato che nella sentenza n.187/2016 la Corte costituzionale tace sui propri precedenti e, in particolare, sulla sentenza n.89/2003 sui collaboratori scolastici, nonostante in uno dei giudici incidentali sollevati dal Tribunale di Roma (ordinanza n.144/2012 Reg.Ord.) uno dei ricorrenti sia un collaboratore scolastico precario con più di 36 mesi di servizio.
Correggendo un giudizio precedente molto critico nei confronti della sentenza n.89/2003 della Corte costituzionale, giudicata come errata in fatto e in diritto, va invece ora apprezzata la continuità “innovativa” della giurisprudenza costituzionale, proprio alla luce della lente di ingrandimento della sentenza n.187/2016 e alla valorizzazione della misura sanzionatoria della stabilizzazione del precariato pubblico, nel dialogo con la Corte di giustizia.
Va preliminarmente ricordato che l’inciso e ultima parte dell’art.97 comma 4 (già comma 3) Cost. consente testualmente le deroghe («salvo i casi stabiliti dalla legge») alla regola del concorso, seppure legislativamente disposte.
Infatti, con la sentenza n.81/1983[45] la Corte costituzionale ha legittimato la discrezionalità del legislatore di ricorrere all’assunzione nel pubblico impiego con modalità diverse da quelle concorsuali, salvo il rispetto del criterio della razionalità dell’intervento: «non può negarsi al legislatore un’ampia discrezionalità nello scegliere i sistemi e le procedure per la costituzione del rapporto di pubblico impiego e per la progressione in carriera; il limite a questa discrezionalità è dato essenzialmente dall’art. 97, primo comma, Cost., dal quale discende la necessità che le norme siano tali da garantire il buon andamento della P.A.; il che, per quanto attiene al momento della costituzione del rapporto d’impiego, consiste nel far sì che nella P.A. siano immessi soggetti i quali dimostrino convenientemente la loro generica attitudine a svolgere le funzioni che vengono affidate a chi deve agire per la P.A. e, per quanto attiene alla progressione, consiste nel valutare congruamente e razionalmente la attività pregressa del dipendente, sì da trarne utili elementi per ritenere che egli possa bene svolgere anche le funzioni superiori. A tal fine lo stesso art. 97, terzo comma, ritiene che il sistema preferibile per la prima ammissione in carriera, e cioè per l’accertamento della predetta generica attitudine sia quello del pubblico concorso: ma non lo eleva a regola assoluta, lasciando libero il legislatore di adottare sistemi diversi, purché anch’essi congrui e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere ed all’interesse da soddisfare.».
In perfetta coerenza con il precedente di dieci anni prima, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.266/1993[46] aveva dichiarato illegittima una norma della Regione Sicilia che aveva previsto un concorso riservato per figure professionali, il cui accesso stabile alla pubblica amministrazione era invece regolamentato dalla norma statale dell’art. 16 della l. n. 56/1987, cioè per il tramite degli (ex) Uffici del lavoro.
Questo orientamento non cambia, anzi si approfondisce, quando il Giudice delle leggi si occupa del reclutamento pubblico scolastico e, in particolare, della disciplina prevista dal testo unico sulla scuola di cui al D.Lgs. n.297/1994.
Con l’ordinanza n.251/2002 la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.36, comma 8, D.lgs. n.29/1993 su fattispecie di docenti precari, utilizzando argomentazioni identiche rispetto a quelle che saranno proposte – su fattispecie di collaboratori scolastici precari – nella sentenza n.89/2003, in cui ha dichiarato infondata la pregiudiziale costituzionale dell’art.36, comma 2, D.lgs. n.165/2001, norma identica a quella delibata nel precedente giudizio.
La Corte contestava, infatti, al giudice del rinvio (Tribunale di Torino) di aver apoditticamente affermato che i rapporti di lavoro a tempo determinato con la pubblica amministrazione siano, a seguito della intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, disciplinati esclusivamente dalla legge n. 230 del 1962, facendo «discendere, da un lato, la (pur implicita) qualificazione dei contratti a termine stipulati dall’amministrazione con i ricorrenti come contratti contra legem e, dall’altro, la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma denunciata in quanto preclusiva, per i soli dipendenti delle pubbliche amministrazioni, della possibilità di trasformazione dei rapporti a termine stipulati in violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962 in rapporti di lavoro a tempo indeterminato», senza farsi carico dell’esistenza di una articolata disciplina speciale delle supplenze annuali e temporanee nella scuola, contenuta nell’art.4 della legge n.124/1999, e omettendo qualsiasi riferimento alla citata disciplina e al rapporto in cui la stessa si porrebbe con la legge n. 230/1962, ritenuta applicabile nel giudizio a quo.
Qualche mese dopo, con la sentenza n.89/2003 per i collaboratori scolastici precari la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001, attestandosi così, dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego, sulla posizione granitica della salvaguardia del principio del pubblico concorso ex art.97, comma 3, 1ª parte Cost. come modalità principale e prevalente di accesso al reclutamento stabile nel pubblico impiego, affermando la legittimità del divieto di conversione dei contratti flessibili enunciato nella norma del testo unico sul pubblico impiego sottoposta allo scrutinio di costituzionalità, in caso di violazione di norme imperative di legge in materia di reclutamento e di impiego.
L’ordinanza di rimessione del Tribunale di Pisa sui collaboratori scolastici (che richiama proprio, a sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale, l’art.97, comma 1, Cost. e l’esigenza che i rapporti di lavoro siano stabili perché l’amministrazione pubblica sia efficiente), come quella del Tribunale di Torino sui docenti precari, interviene in un momento in cui la Direttiva 1999/70/CE era stata già recepita dal D.lgs. n. 368/2001, anche se la regolamentazione normativa dei contratti a termine era ancora quella della previgente disciplina interna.
La Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 sembrava (e in questa direzione si erano espresse le critiche di chi scrive) aver ripudiato precedenti letture interpretative dell’art.97, commi 1 e 3, Cost., sembrando ignorare il fatto che le norme sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale rientravano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, affermando che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 97, comma 3, Cost.
Sembrava che, così argomentando, la Consulta avesse invaso anche il campo interpretativo della Corte di giustizia, mettendo in discussione delicati equilibri istituzionali e costituzionali (era già intervenuta anche la modifica dell’art. 117 Cost., con la legge costituzionale 3/2001). Su questo rilievo di incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE della decisione della Corte costituzionale n.89/2003 si era mosso, del resto, il Tribunale di Genova nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo nella causa C-54/04 Marrosu-Sardino, sollevando «un conflitto di tipo costituzionale», perché il giudice del rinvio ha osservato che «tale sentenza è stata pronunciata senza riferimento alle disposizioni costituzionali che garantiscono il rispetto, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, degli impegni derivanti dall’ordinamento giuridico comunitario. A suo avviso, ammettere l’applicazione del decreto n. 165 ai fatti del caso di specie solleva il problema del rispetto della direttiva 1999/70» (v. conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro nelle cause C-54/04 e C-180/04, punto 8).
Sembrava effettivamente un revirement della giurisprudenza costituzionale, almeno rispetto alla sentenza di venti anni prima n.81/1983 a Costituzione “invariata” e, anzi, rafforzata dalla necessità per il legislatore statale, non solo di godere della ragionevole discrezionalità nel disporre assunzioni stabili nella pubblica amministrazione, ma anche di poterlo fare in ottemperanza agli obblighi comunitari della direttiva 1999/70/CE e della normativa interna di attuazione.
In realtà non è così, e il giudizio negativo sulla sentenza n.89/2003 della Corte costituzionale sul divieto di conversione a tempo indeterminato dei rapporti a termine abusivi dei collaboratori scolastici va totalmente rivisto, alla luce del combinato disposto della sentenza Mascolo della Corte di giustizia e della sentenza n.187/2016 del Giudice delle leggi, che pure intervengono su fattispecie di precariato anche di collaboratore scolastico, tuttavia totalmente diversa da quella esaminata dal Tribunale di Pisa nel giudizio principale poi rimesso al Giudice delle leggi per l’incidente di costituzionalità.
Infatti, nella fattispecie di causa del giudizio principale dell’ordinanza di legittimità costituzionale del Tribunale di Pisa del 7 agosto 2002 n.467/2002 Reg.ord. (pubblicata su G.U. n.33 del 30 ottobre 2002), si verteva sulla posizione lavorativa n.9 ex dipendenti a tempo determinato del Comune di Pisa, inseriti nelle graduatorie ex art. 16 della legge n.56/1987 presso l’ente locale per l’assunzione a tempo indeterminato o a tempo determinato, che erano transitati all’Amministrazione statale in base all’art.4 della legge n.124/1999 con contratti a termine stipulati nel gennaio 2000 e successivamente prorogati senza soluzione di continuità fino al 31 agosto 2002 per oltre due anni.
I collaboratori scolastici ivi ricorrenti chiedevano al Giudice del lavoro in via principale il riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato ab origine ai sensi dell’art.2, comma 2, della legge n. 230/1962, denunciando l’assenza dei presupposti per una legittima apposizione del termine.
Tuttavia, nell’ordinanza n.467/2002 del Tribunale di Pisa il Giudice del rinvio affermava che nè i ricorrenti nè l’amministrazione statale costituita nel giudizio principale avevano prodotto tra gli atti di causa i contratti a termine “successivi” e che non era dato conoscere al magistrato del lavoro sulla base di quali presupposti fossero stati stipulati nella fase transitoria di passaggio del personale ATA dagli enti locali allo Stato, con contratti però stipulati ex novo dall’amministrazione scolastica, e che l’amministrazione scolastica non aveva provato in giudizio nè tantomeno richiesto di provare che i collaboratori scolastici ricorrenti “abusati” continuativamente per oltre due anni fossero stati chiamati a ricoprire posti non vacanti e disponibili nè aveva provato e neppure chiesto di provare quali fossero le esigenze di servizio e la loro prevedibile durata.
E’, dunque, ragionevolmente dedurre che i 9 collaboratori scolastici del giudizio definito in via incidentale dalla Corte costituzionale con la sentenza n.89/2003 non fossero stati assunti con “legittime” supplenze per il tramite della graduatoria permanente provinciale del personale ata con profilo professionale di collaboratore scolastico gestita dall’allora Provveditorato agli studi di Pisa, ai sensi dell’artt. 581 e 582 D.Lgs. n.297/1994, e che quindi i contratti a termine, stipulati al di fuori del legittimo ed esclusivo sistema di reclutamento scolastico delle supplenze all’epoca in vigore (prima della declaratoria di incostituzionalità dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 da parte della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016), fossero effettivamente illegittimi in quanto in violazione di norme imperative di legge per vizio genetico del contratto di lavoro, come la stessa Consulta aveva già precisato con l’ordinanza n.251/2002 per i docenti supplenti nel dichiarare inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Torino.
In conseguenza, è possibile argomentare che nel giudizio definito dalla sentenza n.89/2003 il Giudice delle leggi, per quanto riguarda l’obbligo di concorsi pubblici riferito all’assunzione stabile dei collaboratori scolastici, si riferisse alla specifica modalità di accesso ai ruoli di cui all’art.554 D.Lgs. n.297/1994, attraverso concorsi provinciali per titoli, indetti annualmente nei limiti delle vacanze dell’organico dai provveditori agli studi sulla base di un’ordinanza ministeriale, riservato al personale ata con profilo professionale di collaboratore scolastico con almeno due anni di servizio presso l’amministrazione scolastica e, in quanto tale, inserito in apposita graduatoria provinciale c.d. di 1ª fascia.
Successivamente, la Corte costituzionale con la sentenza n.41/2011, in termini con l’ordinanza n.251/2002, ha continuato a dichiarare conforme all’art.97, comma 3, Cost. il meccanismo di reclutamento dei docenti previsto in via “ordinaria” dall’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994, fondato sul sistema del c.d. “doppio canale” (sentenza Mascolo, punto 89[47]) e, per quanto riguarda le supplenze, dall’art.4, commi 1-3, della legge n.124/1999: «si evince che la scelta operata dal legislatore con la legge n. 124 del 1999, istitutiva delle graduatorie permanenti, è quella di individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio del merito.».
In buona sostanza, la fattispecie decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n.187/2016 e, in precedenza, esaminata nell’ordinanza n.207/2013 di rinvio pregiudiziale, in cui il collaboratore scolastico Romano (ordinanza n.144/2012 Reg.ord. del Tribunale di Roma) aveva prestato servizio per n.47 mesi su un periodo di 4 anni (v. sentenza Mascolo, punto 37) in virtà di legittime supplenze annuali o temporanee conferite dal MIUR ai sensi degli artt.581 e 582 D.Lgs. n.297/1994, è totalmente diversa da quella delibata dal Giudice delle leggi nella sentenza n.89/2003, in cui effettivamente c’era stata una violazione delle norme imperative del reclutamento scolastico, perché evidentemente i collaboratori scolastici erano stati assunti intuitu personae dal dirigente scolastico senza contratto scritto e senza accedere alla competente graduatoria provinciale permanente di I e di II fascia.
Vi è dunque “continuità” (e non discontinuità) della giurisprudenza costituzionale sul sistema di reclutamento dei collaboratori scolastici dalla sentenza n.89/2003 alla sentenza n.187/2016, e, sotto questo profilo, sarebbe stato perfettamente possibile coniugare e contemperare la legittima disciplina delle supplenze di cui all’art.4, comma 1-3, della legge n.124/1999 con l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 e la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato successivi al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi presso l’amministrazione scolastica.
Purtroppo, come già precisato, nessun giudice del lavoro ha sollevato l’incidente di costituzionalità sulle due norme che impedivano la tutela effettiva antiabusiva del personale supplente della scuola (art.4, comma 14-bis, legge n.124/1999 e art.10, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001), di fronte alla scelta scellerata del MIUR di non dare corso a regolari immissioni in ruolo “annuali” dei docenti e del personale ATA utilizzando le procedure ordinarie previste dal D.Lgs. n.297/1994 (e a prescindere dal fatto che, come ammesso dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n.207/2013, non sono stati effettuati concorsi per docenti nell’arco temporale di ben 13 anni dal 1999 al 2012, su cui v. infra), la Corte costituzionale con la sentenza n.187/2016 è stata obbligata l’illegittimità costituzionale “limitata” dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999, per non precludere a docenti e personale ATA precari anche con una sola supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche priva di ragioni oggettive di poter beneficiare delle misure di stabilizzazione riconosciute ad altri docenti ed altro personale ATA precari in identiche (o addirittura inferiori) condizioni di abilitazione e di servizio.
Neanche la Cassazione ha voluto riprendere la strada del dialogo con la Corte di giustizia, bruscamente interrotto dopo le pregevoli ordinanze pregiudiziali sul lavoro marittimo del 2013, che però avevano creato notevoli problemi alle grandi imprese pubbliche perché mettevano in crisi il sistema di reclutamento flessibile “liberalizzante” del contratto a tempo determinato, che aveva creato un enorme contenzioso spesso risolto con interpretazioni “finali” in favore degli abusi di Stato[48].
Anzi, recentemente la Suprema Corte con numerose contestuali decisioni tutte di identico contenuto[49] ha continuato a rigettare questioni pregiudiziali Ue[50] sollevate al Giudice di ultima istanza proprio in relazione al “corretto” sistema di reclutamento dei collaboratori scolastici, alla luce della sentenza Mascolo della Corte di giustizia e alla sua corretta applicazione nell’ordinamento interno[51].
La questione pregiudiziale sollevata nel giudizio davanti alla Suprema Corte dal collaboratore scolastico ricorrente che era iscritto nelle graduatorie provinciali ad esaurimento dei collaboratori scolastici (cioè nella stessa posizione giuridica del Sig. Romano, collaboratore scolastico nel giudizio principale di cui all’ordinanza n.144/2012 Reg.Ord. del Tribunale di Roma, che aveva ricevuto supplenze attraverso il legittimo sistema di reclumento scolastico ai sensi degli artt.581 e 582 D.Lgs. n.297/1994), al momento dell’aggiornamento delle graduatorie provinciali per consentire il nuovo inserimento dei collaboratori scolastici già alle dipendenze degli enti locali (transitati, come è noto, allo Stato se a tempo indeterminato ai sensi dell’art.4, comma 2, della legge n.124/1999) e assunti fino al 31 dicembre 1999 ai sensi dell’art.16 della legge n.56/1987, con decorrenza dall’anno scolastico 2001/2002.
Il ricorrente si era visto scavalcare dal personale appena inserito nella nuova graduatoria provinciale permanente dei collaboratori scolastici, nonostante l’esistenza di una norma (art.6, comma 7, della legge n.124/1999, che regolamenta il “Personale amministrativo, tecnico e ausiliario – ATA”), che prevede espressamente, nella fase di prima integrazione delle graduatorie permanenti, l’inserimento in coda alle graduatorie del personale non già precedentemente inserito, come nel caso dei 9 collaboratori scolastici già alle dipendenze del Comune di Pisa, nel giudizio principale di cui all’ordinanza n.460/2002 Reg.Ord. del Tribunale di Pisa, che avevano ricevuto supplenze illecite dal dirigente scolastico per oltre due anni e mezzo continuativi da gennaio 2000 ad agosto 2012, in violazione degli artt.581 e 582 D.Lgs. n.297/1994.
A giustificazione dell’istanza pregiudiziale, il collaboratore scolastico ricorrente aveva richiamato il contesto normativo in cui la prassi amministrativa del competente C.S.A. presso il MIUR aveva operato al momento dei fatti di causa, in cui era vigente ancora l’art.4, comma 1, della legge n.124/1999, caratterizzato da un rigido sistema di reclutamento senza alcuna discrezionalità per la pubblica amministrazione scolastica e con supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche che potevano legittimamente avvenire soltanto per il tramite delle graduatorie provinciali ad esaurimento, con la conseguenza che, per i collaboratori scolastici, le graduatorie permanenti di 1ª fascia (personale che ha maturato 24 mesi di servizio) e di 2ª fascia (personale che non ha maturato i 24 mesi di servizio) costituivano l’unica modalità di reclutamento legittimo sia a tempo indeterminato che con supplenze annuali, di fatto o temporanee.
Pertanto, l’accesso nelle graduatorie provinciali ad esaurimento di soggetti non precedentemente inseriti nelle stesse graduatorie avrebbe fatto venir meno, in danno dei collaboratori scolastici già inseriti nelle graduatorie provinciali, quelle misure preventive antiabusive che, per la peculiarità delle disciplina, costituivano l’unica garanzia di un futuro stabile inserimento lavorativo, di cui invece si erano avvantaggiati illegittimamente lavoratori che avevano svolto servizio sostanziale o formale sulla base di un reclutamento contra legem (chiamata diretta dei dirigenti scolastici o false certificazioni di titoli di servizio) o praeter legem (ai sensi dell’art.16 della legge n.56/1987, ma al di fuori del sistema di reclutamento scolastico di cui al D.Lgs. n.297/1994).
La Corte di cassazione ha rigettato sia il ricorso nel merito che l’istanza pregiudiziale Ue presentata dal collaboratore scolastico, ritenuta non pertinente anche alla luce della sentenza Mascolo della Corte di giustizia.
Nel merito della controversia, la Suprema Corte ha dichiarato infondato il ricorso perché l’art.6, comma 7[52], della legge n. 124/1999 si applicherebbe soltanto ai responsabili amministrativi, leggendo la norma in combinato disposto con il precedente comma 6[53] dello stesso art.6 della legge n.124/1999, nonostante nel comma 7 non vi sia alcun riferimento ai responsabili amministrativi e nonostante lo stesso rimando al regolamento previsto per l’aggiornamento delle graduatorie permanenti provinciali dei docenti dall’art.401, comma 3[54], D.Lgs. n.297/1994 – e la stessa clausola di salvaguardia della posizione in graduatoria di chi era già precedente inserito prima dei nuovi inserimenti – sia prevista dallo stesso art.6, comma 3[55], della legge n.124/1999 in sedes materiae, cioè relativamente alle graduatorie permanenti provinciali dei responsabili amministrativi di cui all’art.553 D.Lgs. n.297/1994, articolo integralmente sostituito appunto dall’art.6, comma 3, della legge n.124/1999 e che prevede nel nuovo comma 3 la stessa identica norma poi “ripetuta” al successivo comma 7, ma senza nessuna indicazione che sia limitata ai responsabili amministrativi e non sia estesa, invece, a tutto il personale ATA regolamentato dall’articolo in questione, compresi i collaboratori scolastici o personale ausiliario.
Insomma, secondo la Suprema Corte il legislatore della legge n.124/1999, nell’ambito dello stesso articolo 6 che disciplina tutto il personale ATA (e non solo i responsabili amministrativi), avrebbe previsto ben due norme al comma 3 (nuovo testo art. 553, comma 3, D.Lgs. n.297/1994) e al comma 7 che prevedono l’identica clausola di salvaguardia delle posizioni di chi è già inserito nelle graduatorie permanenti provinciali rispetto ai nuovi inserimenti soltanto per i responsabili amministrativi, discriminando ben due volte i collaboratori scolastici già inseriti in graduatoria provinciale.
L’impressione “generale” rispetto a questa situazione processuale (che è sostanzialmente quella definita dalla Corte costituzionale n.89/2003 sul corretto ed esclusivo funzionamento del sistema di reclutamento dei collaboratori scolastici) è che il fecondo dialogo diretto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia crei percorsi di nomofilachia sistematica inversamente proporzionali, negli effetti e nei risultati di maggior tutela dei diritti fondamentali, rispetto a quelli su cui si muove da alcuni anni e con qualche eccezione la Cassazione, quando rifiuta il dialogo “sollecitato” con la Corte di Lussemburgo o con la stessa Corte costituzionale, nel campo di applicazione del diritto dell’Unione europea.
- La stabilizzazione in via ordinaria del precariato scolastico con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e l’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013: la leale cooperazione dello Stato italiano (Governo Letta)
Infatti, come ricordato, le questioni pregiudiziali Ue sollevate dal Tribunale di Napoli e dalla Corte costituzionale avevano come comune denominatore di tutte le fattispecie di causa il superamento dei 36 mesi di servizio ai sensi dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n.368/2001 di tutti i lavoratori precari anche nel settore pubblico non scolastico (educatori degli asili nido e delle scuole dell’infanzia degli enti locali, come causa Russo C-63/13), assunti a tempo determinato attraverso un sistema di reclutamento legittimo sulla base di graduatorie, con conseguente domanda giudiziale di stabilizzazione. Vi era ricompreso anche il personale docente con titolo abilitante PAS o TFA non inserito nelle GAE perché bloccate nel 2007 e trasformate in graduatorie ad esaurimento, inserito nella II fascia delle graduatorie di circolo o di istituto per essere in possesso di titolo abilitante all’insegnamento.
Perfettamente coordinandosi con le due ordinanze nn.206-207 del 2013 della Corte costituzionale, il Governo Letta ha predisposto con l’art. 4, comma 6, del decreto legge 31 agosto 2013, n.101 (convertito con modificazioni dalla legge n.125/2013) il piano, originariamente esteso fino al 31 dicembre 2015 nel testo originario del comma e poi portato al 31 dicembre 2016 in sede di conversione, di stabilizzazione del precariato pubblico anche scolastico, fondato sulla maturazione del servizio anche non continuativo di almeno 36 mesi dei c.d. precari “storici”, attraverso procedure riservate esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all’art.1, comma 519, legge n.296/2006 e all’art.3, comma 90, legge n.244/2007, n. 244, nonché a favore di coloro che alla data di pubblicazione della legge di conversione n.125/2013 hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando, che potevano (e possono fino al 31 dicembre 2016) essere avviate solo a valere sulle risorse assunzionali relative agli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per cento, in alternativa a quelle di cui all’art.35, comma 3-bis, D.Lgs. n.165/2001 e, per il comparto scuola, applicando la disciplina specifica di settore, cioè l’art.399 D.Lgs. n.297/1994, con validità delle relative graduatorie concorsuali riservate fino al 31 dicembre 2016.
D’altra parte, per il comparto scuola questi concorsi riservati per soli titoli di abilitazione all’insegnamento e di servizio avrebbero ricalcato il precedente impianto normativo dell’art.399 del T.U. sulla scuola, che aveva introdotto il doppio canale basato per il 50% sulle graduatorie concorsuali per titoli ed esami e per il 50% su graduatorie concorsuali per soli titoli, questi ultimi limitati dalle modifiche introdotte dalla legge n.124/1999 soltanto alle scorrimento delle graduatorie permanenti provinciali, poi divenute ad esaurimento nel 2007 (GAE).
Inoltre, l’art.4, commi 3 e 4, D.L. n.101/2013 prevedeva (e prevede), fino al 31 dicembre 2016, che le pubbliche amministrazioni, compresa quella scolastica, potevano (e possono) essere autorizzate all’avvio di nuove procedure concorsuali solo a condizione che le professionalità necessarie da assumere a tempo indeterminato anche secondo un criterio di equivalenza non fossero reperibili con lo scorrimento di graduatorie vigenti, approvate dal 1° gennaio 2007.
In buona sostanza, i docenti in possesso di «titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito a seguito sia dell’accesso ai percorsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico» [cfr. la formulazione testualmente ricavata dall’art.1, comma 114, lett.a), legge n.107/2015, che ha riservato una semplice “preferenza” ai docenti in possesso di titolo PAS o TFA e ai diplomati magistrali, ai fini del concorso 2016, che non è stata inclusa neanche nei tre bandi concorsuali], inseriti nelle graduatorie di istituto o di circolo di II fascia e che avevano maturato 36 mesi di servizio anche non continuativo nel quinquennio precedente la data di entrata in vigore della legge n.125/2013 dovrebbero essere immessi in ruolo entro il 31 dicembre 2016, prima che il MIUR potesse bandire nuovi concorsi pubblici per le stesse professionalità, nella vigenza comunque delle GAE con l’iscrizione degli idonei delle graduatorie concorsuali.
Per effettuare i concorsi riservati ai docenti abilitati non inseriti nelle GAE con 36 mesi di servizio pubblico scolastico doveva essere utilizzato lo stesso meccanismo di reclutamento per la scuola previsto in via “ordinaria” dall’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994, fondato sul sistema del c.d. “doppio canale”.
Subito dopo e coordinandosi con l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013, con l’art.15, comma 1, del D.L. 12 settembre 2013, n.104 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.128/2013) il Governo Letta, approfittando degli esiti del concorso bandito con decreto direttoriale del MIUR n. 82 del 24 settembre 2012 per il reclutamento di personale docente, ha approntato un piano triennale per gli anni 2014-2016 per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA, tenuto conto sia dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno sia della necessità di coprire il turn over, senza indicare specificamente come modalità di accesso stabile quanto previsto dall’art.399 D.Lgs. n.297/1994, così consentendo al MIUR di determinare anche il contingente dei docenti precari “storici” abilitati ma non inseriti nelle GAE da destinare al concorso “riservato” per soli titoli.
Nel contempo, per sanare l’erronea affermazione della Cassazione nelle sentenze n.392/2012 (che aveva provocato la causa pregiudiziale Papalia C-50/13 del Tribunale di Aosta) e n.10127/2012 (che aveva provocato le quatto ordinanze pregiudiziali C-22/13, C-61/13, C-62/13 e C-63/13 del Tribunale di Napoli e l’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale) che il d.lgs. n.368/2001 non si applicasse rispettivamente al pubblico impiego non scolastico e scolastico, il Governo Letta, dal 1° settembre 2013, ha ribadito con l’art.36, comma 5-ter, d.lgs. n.165/2001 che il d.lgs. n.368/2001 si applica a tutte le pubbliche amministrazioni comprese quelle scolastiche, ma la sanzione non può essere quella della trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro temporanei, in attesa, evidentemente, del perfezionamento dei processi di stabilizzazione del precariato pubblico.
Inoltre, per evitare la reiterazione delle supplenze annuali e dei contratti a tempo determinato privi di ragioni oggettive, al di fuori dei percorsi di stabilizzazione che le pubbliche amministrazioni avrebbero potuto (e dovuto, secondo la Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016 come unica sanzione effettiva in grado di rimuovere l’illecito comunitario dell’abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato) attivare, il Governo Letta, sempre a decorrere dal 1° settembre 2013, ha introdotto anche l’art.36, comma 5-quater, d.lgs. n.165/2001, per cui il contratto a tempo determinato anche scolastico privo di ragioni oggettive «esclusivamente temporanee o eccezionali» (art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001, come modificato sempre dall’art.4 D.L. n.101/2013, che ha sostituito la precedente formulazione «Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali») è nullo di diritto e non produce nessun effetto.
In particolare, nella circolare n. 5 del 21 novembre 2013 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Trasparenza precisa «che la sostituzione della congiunzione “e”, che era nel precedente testo, con la “o” non va intesa come tentativo di ampliare lo strumento del lavoro flessibile, ma piuttosto come correzione di una discrasia che presentava la precedente formulazione, discrasia che destava dubbi sulla possibilità di ricorrere al lavoro a termine per esigenze “sostitutive”, in altre parole per quelle tipiche che giustificano il lavoro flessibile. Le esigenze “sostitutive” sono oggettivamente di tipo temporaneo ma non necessariamente di carattere eccezionale, giacché molto spesso prevedibili e programmabili.».
Di questa nuova e più rigorosa regolamentazione della flessibilità nel pubblico impiego troviamo traccia esplicita nella sentenza Mascolo della Corte di giustizia ai punti 92-93[56], dove le ragioni oggettive che giustificano il ricorso al contratto a tempo determinato nel settore scolastico vengono limitate alle sostituzioni per malattia, per maternità, parentali, richiamando sul punto la sentenza Kücük della stessa CGUE, che la sentenza n.10127/2012 della Cassazione aveva travisato.
Per ribadire il blocco delle assunzioni a tempo determinato per esigenze non temporanee o eccezionali, sempre l’art.4 del D.L. n.101/2013 ha modificato l’art.36, comma 2, D.Lgs. n.165/2001 aggiungendovi un terzo periodo, che obbligava le pubbliche amministrazioni a prevenire fenomeni di precariato, destinando i contratti a tempo determinato ai vincitori di concorso a tempo indeterminato, così coordinandosi con il divieto di nuove procedure concorsuali per professionalità già inserite in graduatorie vigenti, come previsto dal citato art.4, comma 3, D.L. n.101/2013.
Quindi, per il Governo Letta, con le modifiche all’art.36 D.Lgs. n.165/2001 introdotte dall’art.4 D.L. n.101/2013, le eventuali supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche conferite dai Dirigenti scolastici a decorrere dall’anno scolastico 2014/2015 sarebbero state tutte nulle di diritto, così da depotenziare i prevedibili effetti della pronunzia della Corte di giustizia di incompatibilità della disciplina interna sul reclutamento scolastico a tempo determinato con la direttiva 1999/70/CE (sentenza Mascolo) e la conseguente, inevitabile, declaratoria di incostituzionalità dell’art.4, commi 1 e 11, della legge n.124/1999 (sentenza n.187/2016 della Consulta), limitandoli alle situazioni pregresse fino all’anno scolastico 2013/2014, perché per il futuro già operava il nuovo quadro normativo sulla flessibilità nel pubblico impiego anche scolastico, che vietava – rendendole nulle di diritto – supplenze determinate da carenze strutturali di organico.
D’altra parte, l’art.13 della legge n.270/1982 e l’art.444 D.Lgs. n.297/1994, in vigore e mai modificati dal 3 giugno 1994, fissavano e fissano i criteri di determinazione delle dotazioni organiche del personale docente degli istituti e scuole di istruzione secondaria ed artistica, determinati sulla base dell’accertamento di tutti i posti di insegnamento corrispondenti a cattedre o posti orario, che funzionano all’inizio dell’anno scolastico successivo, tenuto conto del numero delle classi esistenti nell’anno scolastico precedente rilevato al 31 marzo (art.13, comma 8, legge n.270/1982 e art.444, comma 1, D.Lgs. n.297/1994), per cui l’organico di diritto e organico di fatto concidono nel testo unico per le scuole secondarie e nella legislazione speciale, come peraltro regolamentato espressamente anche dall’art.4 del D.P.R. 20 marzo 2009, n.81, che detta le norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola.
La prospettiva per il reclutamento scolastico nella legislazione d’urgenza dell’art.4 D.L. n.101/2013 e dell’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013 era quella di eliminare le supplenze non temporanee e destinare tutti i posti vacanti e disponibili, compresi quelli destinati fittiziamente a supplenze fino al termine delle attività didattiche ma in realtà mascheranti carenze organiche, all’immissione in ruolo nell’anno scolastico 2014/2015, così risolvendo il problema del precariato scolastico “effettivo”, attraverso l’ordinario sistema del c.d. doppio canale per gli iscritti alle graduatorie concorsuali ancora vigenti al 31 dicembre 2016 e degli iscritti alle GAE.
All’interno della procedura ordinaria dell’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994 era sufficiente aggiungere fino alla percentuale massima del 50% dei posti per le immissioni in ruolo con la procedura riservata da bandire ai sensi dell’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013 e con le modalità dello stesso art.399 D.Lgs. n.399/1994, sulla base di un mero decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dopo aver esperito con le OO.SS. una specifica sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale per il personale della scuola.
Va da sé che, in realtà, applicando la normativa comunitaria e interna sul riconoscimento delle qualifiche professionali e delle condizioni per l’abilitazione all’insegnamento, il MIUR avrebbe anche potuto evitare i concorsi riservati inserendo i docenti italiani abilitati PAS o TFA o diplomati magistrali o con servizio di insegnamento di almeno 36 mesi all’interno delle graduatorie provinciali ad esaurimento, e non solo nelle graduatorie di istituto di II fascia. Tuttavia, orientando la prassi amministrativa verso il rispetto delle regole costituzionali, europee e nazionali non avremmo mai avuto la sentenza Mascolo della Corte di giustizia e la sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale e il dialogo tra le Alte Corti non avrebbe avuto l’intensità positiva che ha prodotto.
Il quadro normativo di riferimento prima del Governo Renzi era, dunque, ideale per risolvere definitivamente il problema del precariato scolastico “storico”, anche per la vigenza di tre norme che agevolavano sia la ordinaria utilizzazione delle graduatorie ad esaurimento sia lo straordinario ricorso alle graduatorie di istituto o di circolo di II fascia per i docenti con 36 mesi di servizio nella scuola pubblica, senza ricorrere a nessun piano legislativo straordinario di immissione in ruolo rispetto a quello già autorizzato dall’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013: l’art. 399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, l’art.400, comma 17, dello stesso T.U. sulla scuola, l’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013.
L’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, ancora in vigore dal 25 maggio 1999 anche dopo la legge n.107/2015, dispone testualmente: «2. Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva.».
L’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994, in vigore dal 25 maggio 1999 fino al 15 luglio 2015 (in quanto abrogato dall’art.1, comma 113, lett.h, della legge n.107/2015) così disponeva testualmente:
«Le graduatorie relative ai concorsi per titoli ed esami restano valide fino all’entrata in vigore della graduatoria relativa al concorso successivo corrispondente.».
In definitiva, il MIUR aveva la possibilità di attivare il piano ordinario di immissione in ruolo (e la quota parte di concorso riservato) anche nel caso in cui le graduatorie per titoli ed esami fossero esaurite e non consentissero di coprire i posti vacanti e disponibili autorizzati per le assunzioni a tempo indeterminato nella misura del 50 per cento destinati alle procedure concorsuali (anche per i concorsi precedenti al concorso 2012, nel caso in cui la classe di concorso non fosse stata bandita, ai sensi dell’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994), per cui i posti residui (ad esempio anche il 49% dei posti assegnati) andavano ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente (che, per riprendere l’esempio precedente, avrebbero avuto l’assegnazione del 99% dei posti per le immissioni in ruolo: 50% + 49%).
Naturalmente, lo stesso meccanismo avrebbe potuto essere riservato per le (eventuali) immissioni in ruolo da destinare al concorso riservato dei docenti abilitati con 36 mesi di servizio iscritti nelle graduatorie di II fascia di circolo o di istituto, per il richiamo espresso alla disciplina di settore di cui all’art.4, comma 6, ultimo periodo, D.L. n.101/2013.
L’adeguatezza del piano del Governo Letta a risolvere il problema del precariato storico scolastico e, quindi, tutte le criticità evidenziate nelle questioni pregiudiziali pendenti sul punto davanti alla Corte di giustizia, è stata evidenziata anche dall’Avvocatura dello Stato e dagli avvocati dei lavoratori nelle osservazioni scritte ed orali delle cause riunite Ue decise dalla sentenza Mascolo, come ha rilevato l’Avvocato generale Szpunar nella nota n.47 delle conclusioni scritte del 17 luglio 2014, come sanzione adeguata a rimuovere l’inadempimento evidente alla direttiva 1999/70/CE: «Il governo italiano rileva, a tal proposito, che il diritto nazionale potrebbe offrire delle soluzioni in tal senso, il che sembra confermare le osservazioni di taluni dei ricorrenti nei procedimenti principali nel fare riferimento al recente decreto legislativo del 12 settembre 2013, n. 104. Secondo tali ricorrenti, detto decreto-legge potrebbe consentire la stabilizzazione dei dipendenti del settore scolastico che hanno accumulato periodi di servizio superiori a 36 mesi tramite la loro immissione in ruolo per il periodo 2014-2016.».
Del resto, nella relazione del 24 gennaio 2014 all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione l’Avvocato generale dello Stato De Pace ha così precisato sulla questione del precariato scolastico pendente in Corte di giustizia: «è doveroso fare menzione del vastissimo contenzioso instaurato dal personale precario della scuola, e ciò in relazione ad alcune recentissime decisioni della Corte di Giustizia, che prefigurano un quadro non rassicurante in vista della decisione che, quest’anno, la CGUE dovrà prendere sulla specifica problematica italiana. Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato non mancherà di sostenere ed evidenziare, in sede comunitaria, le assolute specificità del sistema scolastico nazionale, al fine di evitare una decisione di condanna che potrebbe avere effetti finanziari assai consistenti.».
- Il piano “straordinario” di immissioni in ruolo nelle intenzioni del Governo Renzi prima della legge n.107/2015: la sleale cooperazione dello Stato italiano nei confronti dei suoi cittadini/lavoratori
Il piano ordinario di immissione in ruolo, con il concorso riservato per i precari di lungo servizio con 36 mesi di servizio nella scuola pubblica iscritti nelle graduatorie di II fascia di istituto o di circolo, di tutto il personale docente, educativo e ATA su tutti i posti vacanti e disponibili, compresi quelli delle cessazioni di servizio intervenute, previsto dall’art.15, comma 1, D.L. n.101/2013 non è stato mai attuato “formalmente” dal Governo Renzi, subentrato a febbraio 2014 al Governo Letta dopo la sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il sistema elettorale c.d. “Porcellum”, se non per il personale ATA con l’immissione in ruolo di n.3730 assunti dal MIUR a marzo 2014 con decorrenza giuridica 1° settembre 2013 per l’anno scolastico 2013/2014, di n.4599 assunti per l’anno scolastico 2014/2015 e di n.10294 posti con decorrenza dal 1° settembre 2016 e per l’anno scolastico 2016/2017, questi ultimi in seguito, come ricordato, alla durissima censura della Corte costituzionale nella sentenza n.187/2016.
La mancata realizzazione del piano “ordinario” di immissione in ruolo previsto dal Governo Letta e auspicato da tutti, che avrebbe potuto essere realizzata agevolmente già nell’anno scolastico 2014/2015, ma, in ogni caso, con gli anni scolastici 2015/2016 e 2016/2017, è dipesa da precise scelte del MIUR, in contrasto con la normativa di settore.
L’operazione di elusione della normativa vigente che consentiva l’immissione ordinaria in ruolo del personale scolastico su tutti i posti vacanti e disponibili viene anticipata dal decreto del 23 maggio 2014 prot.n. 356 del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, che già prefigura il contorto percorso che porterà a) all’abbandono del piano triennale di assunzioni stabili previsto dall’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013, b) al sedicente piano straordinario di immissione in ruolo della legge n.107/2015 e c) all’imbarazzante attivazione dei concorsi per titoli ed esami finalizzati al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell’organico dell’autonomia, banditi in data 23 febbraio 2016 con i decreti direttoriali nn.105, 106 e 107 e radicalmente nulli, per violazione dell’art.4, commi 3 e 4, D.L. n.101/2013, in presenza delle vigenti (fino al 31 dicembre 2016) GAE.
Il fatto di aver bandito concorsi pubblici per titoli ed esami nel febbraio 2016 in violazione del divieto assoluto previsto dall’art.4, commi 3-4, D.L. n.101/2013 fino al 31 dicembre 2016 è dipeso sicuramente dal gravissimo e ingiustificabile errore commesso già nel decreto del Ministro n.356/2014 di considerare valide le graduatorie degli idonei delle pubbliche amministrazioni, compresa quella scolastica, fino al 31 dicembre 2015, applicando il testo originario dell’art.4, commi 3-4, D.L. n.101/2013 e non quello effettivamente vigente, come modificato in sede di conversione dalla legge n.125/2013, che invece prevede la validità delle graduatorie degli idonei fino al 31 dicembre 2016 (e non più fino al 31 dicembre 2015).
Il decreto del Ministro n.356/2014, infatti, dispone, logicamente, che i candidati inseriti a pieno titolo nelle graduatorie di merito del concorso ordinario per il reclutamento di personale docente bandito con D.D.G. n.82/2012, idonei ma non vincitori, hanno titolo, a decorrere dall’anno scolastico 2014/2015, ad essere immessi in ruolo, in subordine rispetto ai vincitori, nei limiti del 50% dei posti previsti per le graduatorie concorsuali dall’art.399, comma 1, D.Lgs. n.297/1994.
Questa incredibile ovvietà, che renderebbe del tutto inutile il decreto ministeriale alla luce della legislazione vigente, mascherava il vero obiettivo dell’ (altrimenti) inutile provvedimento, cioè quello di impedire il piano ordinario triennale di immissioni in ruolo, sull’erroneo presupposto che sarebbe stato sufficiente attendere il 31 dicembre 2015 per far decadere tutte le graduatorie degli idonei, comprese le GAE:
- perché, dimenticando completamente l’art.399, comma 2, D.Lgs. 297/1994 e la possibilità di integrare attraverso le GAE il personale docente da assumere stabilmente che non sia stato possibile assumere attraverso lo scorrimento delle graduatorie concorsuali nei limiti del 50% dei posti assegnati, nonché di indire addirittura un concorso riservato per gli idonei delle graduatorie di II fascia di circolo e di istituto in possesso del requisito di 36 mesi di servizio pubblico, il D.M. innanzitutto definisce “straordinario” il piano triennale di assunzioni per il personale docente su posti vacanti e disponibili per il triennio 2014-2016 definito dal Governo Letta con l’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013;
- poi ne evidenzia la criticità operativa nel fatto che l’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013 stabilisce il divieto di indire nuove procedure concorsuali in presenza di graduatorie degli idonei vigenti, rilevando che, in conseguenza, «nei prossimi anni si prevede di immettere in ruolo personale docente con il rischio di non avere però graduatorie di merito disponibili nella maggior parte delle classi di concorso e degli insegnamenti e quindi di vedere vanificato il principio normativo della riserva del 50 per cento dei posti da destinare al concorso», così dimenticando il meccanismo compensativo dell’art.399, comma 2, T.U. sulla scuola;
- infine, sottolinea che lo stesso decreto sull’immissione degli idonei del concorsone del 2012, che costituiva un automatismo normativo ai sensi del combinato disposto degli artt.399, comma 1, e 400, commi 17 e 19, D.Lgs. n.297/1994, era necessario per garantire il rispetto della percentuale del 50 per cento dei posti da coprire mediante concorsi per titoli ed esami, in quanto i nuovi concorsi -di cui il Ministro avrebbe addirittura chiesto l’autorizzazione, del tutto vietata dall’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013 per espressa ammissione nello stesso decreto – non sarebbe stato bandito prima della fine del 2014 (e infatti sarebbero stati banditi, benchè nulli, addirittura a fine febbraio 2016, nonostante la vigenza al 31 dicembre 2016 ancora delle GAE) e le nuove graduatorie non sarebbero verosimilmente state pronte «prima dell’avvio dell’anno scolastico 2016/2017», dato che conferma l’errore nell’individuazione del testo vigente dell’art.4, commi 3-4, D.L. n.101/2013, perché le nuove graduatorie concorsuali non sarebbero state verosimilmente pronte prima dell’avvio del successivo anno scolastico 2017/2018, essendovi ogni preclusione fino al 31 dicembre 2016.
Insomma, il decreto ministeriale n.356/2014 serviva semplicemente a preparare il percorso impervio e confusionario che, violando la normativa vigente, ha trasformato il piano triennale ordinario di immissione in ruolo di tutto il personale scolastico previsto dal Governo Letta nel piano straordinario di immissione in ruolo del personale docente previsto dal Governo Renzi, con gli esiti caotici che sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica e che hanno leso gravemente i diritti di decine di migliaia di docenti.
Inoltre, nell’evidenziare del tutto inutilmente (rispetto alle disposizioni di legge) la necessità di prevedere l’immissione in ruolo prioritaria, in subordine ai vincitori, degli idonei del concorso del 2012, il decreto ministeriale sortisce l’effetto di paralizzare le graduatorie dei concorsi pubblici per titoli ed esami banditi antecedentemente al concorso del 2012, che, ai sensi dell’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994, restavano in vigore fino alla corrispondente graduatoria del concorso successivo, operando così non solo per le classi di concorso non bandite nel 2012, ma anche per le graduatorie regionali delle classi di concorso bandite nel 2012 ma non nello specifico ambito regionale per il quale non era stata originariamente prevista nel bando disponibilità di posti[57].
Anche in questo caso, l’effetto “utile” della scelta ministeriale, contraria a disposizione di legge – ma anticipatoria della legge n.107/2015 con l’abrogazione all’art.1, comma 113, lett.h, dell’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994, dimenticandosi però che comunque l’abrogazione non potrà avere effetto fino al 31 dicembre 2016, stante la vigente previsione dell’art.4, comma 4, D.L. n.101/2013 per le graduatorie ad esaurimento ancora vigenti) -, era quello di bloccare il piano triennale di immissioni in ruolo di cui all’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013, compresi i concorsi riservati mai banditi.
In conseguenza, dopo le conclusioni del 17 luglio 2014 dell’Avvocato generale Szpunar nelle cause riunite Mascolo ed altri C-22/13 sul precariato pubblico soprattutto scolastico che, ovviamente, anticipavano la sentenza Mascolo della Corte di giustizia nei termini già evidenziati dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.207/13 sulla incompatibilità del sistema di reclutamento scolastico con la direttiva 1999/70/CE per mancanza di misure antiabusive, per i docenti il Governo Renzi già nel documento di fine agosto 2013 contenente le “Linee guida sulla Buona scuola” ha tratteggiato, invece, un piano straordinario di immissioni in ruolo destinato a 148.100 persone per assumere tutti i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, che parte da premesse giuridiche del tutto erronee rispetto alla normativa vigente, palesemente ignorata.
Si afferma, infatti, al punto 1.3 di pag.26 del predetto documento “programmatico”: «Per poter attuare un Piano di assunzioni di tale portata, che non ha precedenti nella storia della Repubblica e che deve tener conto di eredità storiche di decenni, sarà necessario introdurre alcune modifiche all’attuale sistema del reclutamento dei docenti della scuola. Anzitutto, la prima modifica da fare è quella che tocca la previsione per cui le assunzioni avvengono per il 50% da concorso e per il 50% da GAE. Questa è stata la regola per le assunzioni dei docenti negli ultimi anni. Invece, con il piano straordinario, le assunzioni avverranno, nel 2015/2016, per il 90% dalle GAE. Questa disposizione rappresenta in realtà un’eccezione al principio generale per cui le assunzioni nel pubblico impiego possono avvenire solo per concorso. Ragione che concorre a rendere necessario che le assunzioni di tutti gli iscritti nelle GAE avvengano tutte insieme, nel corso di un anno solo (l’a.s. 2015-2016). E’ possibile farlo? Sì, cambiando la legge, motivando questa modifica come necessaria per traghettare il sistema fuori dallo stato di eccezione, e prevedendo da subito che per gli anni a venire le assunzioni torneranno finalmente ad avvenire al 100% solo da concorso – cosa del resto naturale dal momento che non ci sarebbero più iscritti nelle GAE, a quel punto esaurite non solo di nome ma anche di fatto. In aggiunta a questo, sarà necessario introdurre altre modifiche per far sì che l’assunzione di tutti i 148 mila docenti sia (a) materialmente possibile e (b) coerente con il tipo di potenziamento della scuola italiana che il Governo intende operare.».
La motivazione del ricorso da parte del Governo ad una procedura de iure condendo (a settembre 2015) straordinaria di immissione in ruolo del personale docente in deroga al principio del pubblico concorso è evidentemente fondata sulla deliberata ignoranza della normativa che regola gli accessi in ruolo nella scuola, di cui agli artt.399 e 400 D.Lgs. n.297/1994, che non solo consentivano in via ordinaria l’immissione in ruolo dei docenti delle GAE anche in misura ben superiore al 50% (anche totalitario) dei posti assegnati al reclutamento a tempo indeterminato per tutti i posti vacanti e disponibili “autorizzati”.
Anche ora dopo la legge n.107/2015, che non ha modificato l’art.399 D.Lgs. n.297/1994, ancora in vigore, sarebbe possibile attivare la procedura ordinaria, così come è ancora in vigore la possibilità fino al 31 dicembre 2016 di attivare i «concorsi riservati» previsti dall’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013, concorsi riservati che, allo stato, non sono ancora stati banditi e che comunque non possono essere rappresentati dai concorsi pubblici per titoli ed esami del 2016 di cui all’art.1, comma 114, legge n.107/2015, trattandosi in ogni caso di concorsi aperti a tutti gli abilitati anche non iscritti in nessuna graduatoria degli idonei, e quindi trattandosi di concorsi nulli.
La conseguenza di queste scelte “politiche” si è tradotta già nell’anno scolastico 2014/2015 in una forte limitazione delle immissioni in ruolo del personale docente, in quanto, a fronte di n.11.542[58] vincitori del concorso 2012 (di cui 7.965 già iscritti nella GAE) e n.17.255 (di cui n.10.353 già iscritti nelle GAE), il contingente di docenti assunti a tempo indeterminato con decorrenza dal 1° settembre 2014 è stato pari a soli n.28.871 posti, sempre ripartiti per il 50% tra graduatorie del concorso del 2012 e per il 50% iscritti nelle GAE, senza utilizzare il meccanismo compensativo a favore delle GAE previsto dall’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994 per coprire tutti i posti vacanti e disponibili che l’autorizzazione “generale” dell’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013 consentiva di immettere in ruolo.
Infatti, dalla relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico della Corte dei Conti risulta dalla Tavola sinottica 3 a pag.46 che al 31 dicembre 2014 il MIUR ha ancora attivato n.24.760 supplenze annuali su posto comune (senza sostanziale variazione percentuale rispetto all’anno scolastico 2013/2014 per n.24.801 posti), n.4.204 supplenze annuali su posti di sostegno (con un aumento percentuale del 296,2% rispetto ai n.1.061 posti del 2013/2014), n.64.007 supplenze fino al termine delle attività didattiche su posto comune (con un aumento percentuale del 5,8% rispetto ai n.60.507 posti del 2013/2014) e n.40.239 supplenze fino al termine delle attività didattiche su posto di sostegno (con una diminuzione percentuale di 11% rispetto ai n.45.222 posti del 2013/2014.
Insomma, erano vacanti e disponibili al 1/9/2014 n.88.767 immissioni in ruolo di personale docente su posto comune e n.44.443 di assunzioni stabili di docenti su posto di sostegno, che invece sono stati destinati a supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche, nulle di diritto in quanto in violazione dell’art.36, commi 2 e 5-quater, D.Lgs. n.165/2001, e comunque non attribuibili a docenti a tempo determinato secondo quanto previsto dallo stesso art.36, comma 2, ultimo periodo, del T.U. sul pubblico impiego.
Sulla identità tra organico di diritto e organico di fatto il Governo si era già espresso chiaramente a pag. 13 delle Linee guida sulla “Buona Scuola”: «Tutto questo ha creato nel tempo quello che nel mondo della scuola viene chiamato “organico di fatto”: un contingente “parallelo” di docenti che soddisfa il fabbisogno concreto e che fotografa la situazione reale della scuola, a cui s’aggiungono infine gli ulteriori docenti occorrenti a sostituire gli assenti a qualunque titolo (ad esempio maternità, malattie, distacchi).».
In definitiva, senza contare il turn over e le cessazioni di servizio intervenute dall’anno scolastico 2013/2014 e senza attendere l’esito delle cause pregiudiziali che saranno definite dalla Corte di giustizia con la sentenza Mascolo del 26 novembre 2014[59], al 1° settembre 2014 il MIUR avrebbe potuto (in realtà dovuto) immettere in ruolo, in base all’autorizzazione generale di cui all’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013, n.162.081 docenti, applicando le disposizioni di legge di cui all’art.399, commi 1 e 2, D.Lgs. n.297/1994, per un numero di posti di gran lunga superiore ai 148.100 docenti che il Governo Renzi aveva previsto di assumere dopo un anno a decorrere dal 1 settembre 2015 in base ad un piano straordinario che si sarebbe concretizzato soltanto con la legge 13 luglio 2015, n.107.
- Assegnazione definitiva per tre anni nell’albo territoriale del personale docente assunto con il piano straordinario di immissione in ruolo nell’art.8 del D.D.L. n.2994 sulla “Buona scuola”
Nel D.D.L. governativo n.2994 presentato alla Camera dei Deputati il 27 marzo 2015 sulla “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, il piano straordinario di immissione in ruolo del personale docente, nell’ambito di una riorganizzazione degli uffici scolastici per definire il c.d. “organico dell’autonomia” determinato entro il 31 maggio 2015 (il D.D.L. n.2994 erano stato originariamente strutturato come decreto legge e così anticipato agli organi di stampa dal Ministro Giannini, poi smentita improvvisamente dal Presidente del Consiglio) su base regionale e con albi territoriali (art.2 DDL 2994), prevedeva all’art.8 per i nuovi assunti dall’anno scolastico 2015/2016 la realizzazione del piano di immissione ordinario triennale previsto dall’art.15, comma 1, D.L. n.104/2013, con l’unica (parziale) deroga rispetto alla procedura assunzionale prevista dall’art.399, commi 1 e 2, D.Lgs. n.297/1994, consistente nella gestione a livello nazionale attraverso una piattaforma informatica gestita “riservatamente” dal MIUR delle nuove assunzioni su sede definitiva e con presentazione di apposita domanda in via informatica (comma 8), diversamente dalla procedura ordinaria che invece prevede la gestione in ambito regionale e provinciale dei nuovi assunti, attraverso convocazioni formali del personale docente presso l’Ufficio Regionale scolastico e l’Ufficio Provinciale scolastico competenti con l’indicazione dei posti da assegnare e dell’ordine di priorità e di preferenza nella scelta della sede.
Il piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado nel DDL 2994 era stato così articolato:
- riguardava la copertura dei posti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia (comma 1);
- avrebbero dovuto essere assunti a tempo indeterminato e iscritti negli albi territoriali di cui all’articolo 7 del DDL: a) i vincitori (e non gli idonei) del concorso 2012; b) gli iscritti nelle GAE (comma 2);
- i vincitori (e non gli idonei, nonostante il D.M. Giannini n.356/2014, Ministro proponente il D.D.L. 2994, li avesse espressamente inclusi da assumere in prioritaria, in subordine ai vincitori) del concorso 2012, che in realtà erano già stati (quasi) tutti immessi in ruolo negli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015, sarebbero stati assunti nell’ambito della regione nella cui graduatoria di merito erano iscritti, nel limite del 50 per cento dei posti vacanti e disponibili dell’organico dell’autonomia, individuati a livello di albo territoriale di cui all’articolo 7 DDL (comma 4, lettera a);
- gli iscritti nelle GAE sarebbero stati assunti nell’ambito della provincia relativa alla graduatoria in cui sono iscritti, nel limite del restante 50 per cento dei posti vacanti e disponibili dell’organico dell’autonomia, individuati a livello di albo territoriale, incrementati dei posti eventualmente vacanti e disponibili al termine della fase a) dei vincitori del concorso (comma 4, lettera b), conformemente a quanto previsto dall’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, la cui integrale applicazione avrebbe ovviato anche ai posti vacanti e disponibili per le classi di concorso non bandite o bandite solo in alcune Regioni con il DDG n.82/2012, da assegnare quindi totalmente agli iscritti nelle GAE;
- i vincitori nonché gli iscritti nelle GAE, che residuassero dalle fasi precedenti di cui alle lettere a) e b), sarebbero stati assunti nel limite dei posti rimasti eventualmente vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia nazionale, individuati a livello di albo territoriale, con precedenza ai vincitori rispetto agli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento (comma 4, lettera c);
- i soggetti interessati dalle fasi di cui al comma 4, lettere a), b) e c), avrebbero potuto esprimere l’ordine di preferenza tra tutti gli albi territoriali e sarebbero stati assunti prioritariamente, nell’ambito degli albi indicati, sui posti di sostegno, se in possesso del relativo titolo di specializzazione e, in subordine, a partire dalla classe di concorso o dal grado di istruzione per cui possedessero maggiore punteggio e, a parità di punteggio, dando priorità al grado di istruzione superiore (comma 5, 1° periodo);
- in caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali indicati, il MIUR non avrebbe proceduto all’assunzione (comma 5, 2° periodo);
- ai neo immessi in ruolo sarebbe stato affidato dal Dirigente scolastico della sede di assegnazione un incarico di durata triennale rinnovabile (art.7, comma 2, e art.8, commi 6 e 7, DDL 2994), con possibilità, per una maggiore fungibilità del personale assunto e per limitare il ricorso a contratti a tempo determinato, nella fase di assegnazione degli incarichi, di utilizzare il personale docente in classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purchè possegga un titolo di studio valido all’insegnamento (art.7, comma 3, lett.d, DDL 2994);
- le disponibilità di posti sopravvenute per effetto delle rinunce all’assunzione non avrebbero potuto essere assegnate in nessuna delle fasi di cui al comma 4 e i posti per il potenziamento dell’offerta formativa, che fossero rimasti vacanti all’esito del piano straordinario di assunzioni, non sono disponibili per incarichi a tempo determinato fino al successivo ciclo di determinazione dei fabbisogni di cui all’art.2 DDL 2994 (comma 7);
- a decorrere dal 1° settembre 2015, le graduatorie dei vincitori del concorso 2012 e delle GAE (comma 2, lett. a e b) avrebbero perso efficacia, per i gradi di istruzione della scuola primaria e secondaria, ai fini dell’assunzione con contratti di qualsiasi tipo e durata e dalla data di entrata in vigore della legge sarebbero state soppresse le graduatorie dei concorsi pubblici per titoli ed esami banditi antecedentemente all’anno 2012 per il reclutamento di personale docente per le scuole statali di ogni ordine e grado, rimanendo valide soltanto quelle degli idonei del concorso 2012 (comma 10);
- le graduatorie di circolo e d’istituto di prima fascia del personale docente ed educativo avrebbero continuato a esplicare la propria efficacia, fino all’anno scolastico 2016/2017 compreso, per i soli soggetti già iscritti alla data di entrata in vigore della legge, non assunti a seguito del piano straordinario di assunzioni (comma 11);
- ad eccezione del personale docente della scuola dell’infanzia e del personale educativo, l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola statale sarebbe avvenuto esclusivamente mediante concorsi pubblici nazionali su base regionale per titoli ed esami, le cui graduatorie avrebbero avuto validità fino all’approvazione della successiva graduatoria concorsuale e comunque non oltre tre anni (comma 12);
- il DDL 2994 non prevedeva alcun concorso riservato, escludendo così gli idonei delle graduatorie di II fascia di istituto o di circolo dalla possibilità di stabilizzazione offerta dall’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013;
- non era previsto, altresì, correttamente alcun concorso per titoli ed esami aperto a tutti gli abilitati, nonostante il D.M. n.394/2014 avesse già dato notizia della richiesta di autorizzazione per una nuova procedura concorsuale, che comunque avrebbe potuto essere espletata soltanto per il periodo successivo al 31 dicembre 2016, per l’obbligo preventivo fino a tale data di utilizzare le graduatorie concorsuali degli idonei, comprese le GAE e le graduatorie di istituto e di circolo di I e di II fascia, ai sensi dell’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013;
- la procedura di gestione informatica delle nuove assunzioni sarebbe avvenuta in deroga all’art.45, comma 2, e all’art. 65 del D.Lgs. n.82/2005 (“Codice dell’amministrazione telematica”), cioè senza possibilità per i richiedenti l’immissione di avere a disposizione nella propria casella elettronica il documento informatico trasmesso in via telematica e senza il rispetto delle condizioni di validità e di certificazione delle istanze e delle dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica (comma 8);
- infine, non era prevista nessuna procedura di mobilità professionale, perché l’organico dell’autonomia doveva già essere pronto e funzionale per l’anno scolastico 2015/2016.
Rispetto a questo complesso e segreto piano straordinario di immissioni in ruolo in violazione delle informazioni mai fornite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all’art.4, comma 5, D.L. n.101/2013, che derogava all’art.399, commi 1 e 2, D.Lgs. n.297/1994 soltanto per la particolarità della procedura gestita in via informatica e riservatamente dal MUR a livello nazionale, l’elemento di ulteriore complicazione era la mancanza assoluta di obblighi di informativa nell’avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale ai fini della domanda telematica di assunzione di tutti i posti vacanti e disponibili da assegnare, cioè dei n. 88.767 posti comuni e dei n. 44.443 posti di sostegno, che nell’anno scolastico 2014/2015 erano stati destinati a supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche, vietate dall’art.36, commi 2 e 5-quater, D.Lgs. n.165/2001 e di fatto non più consentite neanche nel DDL 2994[60], a cui avrebbero dovuto aggiungersi i posti per le cessazioni di servizio intervenute dal 1 settembre 2013, nonché i nuovi posti dell’organico dell’autonomia derivanti dal potenziamento dell’offerta formativa rispetto ai posti comuni (art.6, comma 3, DDL 2994).
- Il Contratto collettivo nazionale integrativo sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie del 13 maggio 2015
Sulla base del descritto quadro normativo anche de iure condendo a seguito della presentazione del DDL 2994, il MIUR ha sottoscritto con tutte le OO.SS. firmatarie del CCNL del Comparto Scuola in data 13 maggio 2015 il contratto collettivo nazionale integrativo concernente le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie del personale docente, educativo ed a.t.a. per l’anno scolastico 2015/2016.
L’art.7, comma 2, del CCNI del 13 maggio 2015 regolamenta le assegnazioni provvisorie del personale docente conformemente all’art.475 D.Lgs. n.297/1994, secondo cui non sono consentite le assegnazioni provvisorie di sede nei confronti di personale di prima nomina: «2. Non sono consentite assegnazioni provvisorie per grado di istruzione diverso da quello di appartenenza nei confronti del personale che non abbia superato il periodo di prova. Non sono, altresì, consentite le assegnazioni provvisorie nei confronti di personale scolastico assunto a tempo indeterminato con decorrenza giuridica 1.9.2015.».
L’art.1, comma 12, CCNI prevede, altresì, la possibilità di riaprire il confronto negoziale, anche su richiesta di un solo soggetto firmatario, per verificare le ricedute sul personale derivanti da provvedimenti emanati successivamente alla sottoscrizione del CCNI, come l’approvazione del disegno di legge sulla “Buona scuola”, che producano effetti sulle materie disciplinate dal CCNI stesso.
- La legge n.107/2015 e il “nuovo” piano straordinario di immissioni in ruolo. L’assegnazione definitiva di sede ai nuovi assunti con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015
La regolamentazione del piano straordinario di immissioni in ruolo definita dalla legge n.107/2015 è diversa strutturalmente da quanto previsto nel DDL 2994, così come stata è disciplinata dall’art.1, comma 95, della legge di riforma, in quanto viene disattesa l’applicazione dell’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, prevista nel DDL 2994, per tutte le fase della procedura delineata originariamente nel disegno di legge [art.8, comma 2, lettere a), b) e c), DDL 2994] e innanzi descritta per lasciare spazio a quattro distinte fasi di immissioni in ruolo.
La fase “0” ordinaria/ordinaria: il nascondimento delle cattedre vacanti e disponibili
Nella prima fase “ordinaria” (c.d. fase 0), prevista dall’art.1, comma 95, primo periodo, il personale docente non doveva presentare alcuna domanda di ammissione, in quanto essa è stata disciplinata dall’art.399 D.Lgs. n.297/1994, propedeutica all’avvio delle altre tre fasi “straordinarie” riservate alla «copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo» della fase ordinaria “0”, al termine della quale «sono soppresse le graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012», come ribadito dall’abrogazione dell’art.400, comma 17, D.Lgs. n.297/1994 [dall’art.1, comma 113, lett.h), legge n.107/2015], con una scelta normativa chiara nelle intenzioni ma fallimentare negli effetti concreti, perché, secondo quanto disposto dall’art.4, comma 4, D.L. n.104/2013, continuavano ad essere in vigore le graduatorie per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012 per le classi di concorso non bandite nel 2012 o bandite soltanto per alcuni ambiti regionali.
In buona sostanza, sarebbe stato sufficiente con decreto ministeriale limitare le assunzioni sui posti vacanti e disponibili da destinare alla fase ordinaria “0” di immissioni in ruolo, rispetto a tutti quelli che sarebbe stato possibile assegnare, per impedire l’attivitazione dei presupposti di operatività delle altre tre fasi straordinarie di immissione in ruolo, previste dall’art.1, comma 98, della legge di riforma.
Puntualmente, prima dell’emanazione della legge n.107/2015 e della sua entrata in vigore, il Ministro proponente il DDL 2994 – invece di autorizzare per l’anno scolastico 2015/2016 n.88.767 immissioni in ruolo di personale docente su posto comune, n.44.443 di assunzioni stabili di docenti su posto di sostegno (cioè i posti destinati a supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche nell’anno scolastico 2014/2015), nonché n.21.880 posti comuni e n.14.747 posti di sostegno di personale docente cessato dal servizio – con decreto del 7 luglio 2015 n.470 (su parere favorevole “preventivo” del Ministero dell’Economia e Finanze del 3 luglio 2015) ha autorizzato per le assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per l’anno scolastico 2015/2016 soltanto n.46.627 immissioni in ruolo determinate dal turn over e dalle cessazioni dal servizio.
Nel D.M. n.470/2015 non si fornisce alcuna consistenza dei posti disponibili e vacanti del personale docente che sarebbero stati rilevati dal Sistema informativo, ma, come già avvenuto con il D.M. n.356/2014, il Ministro proponente l’art.8, comma 4, lett.b), DDL 2994 (in cui viene espressamente richiamato il meccanismo compensativo in favore delle GAE previsto dal T.U. sulla scuola) si preoccupa accuratamente di evitare l’applicazione dell’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994, perché, da un lato, all’art.2.1 del DM, precisa che «le assunzioni in ruolo si effettuano sui posti che risultano disponibili e vacanti per l’intero anno scolastico, dopo la conclusione di tutte le operazioni di utilizzazione e di assegnazione provvisoria», in palese violazione dell’art.475, comma 7, D.Lgs. n.297/1994 e dell’art.7, comma 8, CCNI 13 maggio 2015, secondo cui le assegnazioni provvisorie possono essere disposte soltanto per posti ai quali non sia possibile destinare personale docente di ruolo, anche delle dotazioni aggiuntive.
Dall’altro, all’art.2.2 il DM n.470/2015 limita il riparto delle assunzioni all’applicazione del solo art.399, comma 1, D.Lgs. n.297, precisando che «il numero dei posti su cui possono essere disposte le assunzioni a tempo indeterminato viene ripartito a metà tra le graduatorie dei concorsi per esami e titoli attualmente vigenti e le graduatorie ad esaurimento di cui all’art.1, comma 605, lett. c) della legge 27 dicembre 2006, n. 296», in palese violazione dell’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994.
Infine, all’art.3 del D.M. n.470/2015 viene previsto che al personale immesso in ruolo nella fase 0 «sarà assegnata una sede provvisoria per l’ a.s. 2015/2016 al fine di consentire l’attribuzione della sede definitiva tramite la partecipazione alle operazioni di mobilità», così violando palesemente gli artt.399, comma 3, 436, comma 1, 475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 (richiamati espressamente come applicabili dallo stesso art.1, comma 73, 2° periodo, della legge n.107/2015) e l’art.7, comma 2, CCNI 13 maggio 2015.
Con la nota del 10 luglio 2015 prot.n.20299, a firma del Direttore generale per il personale scolastico, il MIUR precisa, sulle assunzioni a tempo indeterminato del personale docente per l’anno scolastico 2014/2015 attraverso il turn over autorizzate dal D.M. n.470/2015, che «in linea con quanto previsto nel D.M., anche nelle istruzioni operative non è più contemplata la possibilità di effettuare eventuali compensazioni tra le classi di concorso, in quanto i posti non utilizzati saranno destinati alle operazioni di nomina delle successive fasi».
La fase “A” ordinaria/straordinaria: la scomparsa del meccanismo compensatorio
Neutralizzata così definitivamente con il DM n.470/2015 la procedura ordinaria di immissione in ruolo ex art.399 D.Lgs. n.297/1994 che avrebbe (dovuto) potuto riguardare tutti gli iscritti nelle graduatorie concorsuali vigenti e tutti gli iscritti delle GAE per l’assegnazione dei n.88.767 posti comuni e dei n.44.443 posti di sostegno (dati, lo si ribadisce, rilevati al 31/12/2014 dalla Corte dei conti nella relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico) ancora disponibili su posti vacanti “utilizzati” per le supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche, il legislatore della 107 ha riservato al piano straordinario di immissione in ruolo una prima fase “A”, che riguarda tutti i posti vacanti e disponibili in organico residuati dopo la fase “0”, da gestire secondo le ordinarie procedure di cui all’art.399 D.Lgs. n.297/1994 di competenza degli uffici scolastici regionali, cioè senza necessità di domanda da parte dei docenti interessati [art.1, comma 98, lett.a), legge n.107/2015].
La nota MIUR n.21739 del 22 luglio 2015, a firma del Direttore generale per il personale scolastico, individua per la fase “A” un numero massimo di n.10.849 da assumere sull’organico di diritto, mai specificando il numero effettivo dei posti vacanti e disponibili, con due incredibili precisazioni, che confermano il carattere caotico e fraudolento nei confronti di decine di migliaia di cittadini e lavoratori pubblici italiani dell’intera operazione di immissione straordinaria in ruolo.
Infatti, da un lato il MIUR precisa, come dato normativo ovvio, che «come previsto dall’art. 399 comma 2 del Dlgs.vo 297/94, nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli destinati alle graduatorie ad esaurimento», così smentendo tardivamente il D.M. n.470/2015 e la nota MIUR n.20299/2015, a firma dello stesso Direttore generale, che invece aveva escluso la possibilità delle compensazioni tra le classi di concorso; dall’altro, come effetto perverso e illecito dell’entrata in vigore dell’art.1, comma 95, 1° periodo, della legge n.107/2015, rileva che non possono partecipare al piano assunzionale i soggetti inclusi nelle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente all’anno 2012, che invece avrebbero dovuto già rientrare nella fase “0” da cui sono stati ingiustificatamente e fraudolentemente esclusi, nonostante le predette graduatorie fossero ancora in vigore fino al 31 dicembre 2016, stante la generale previsione dell’art.4, comma 4, D.L. n.101/2013 ancora vigente.
In particolare, i docenti destinatari del piano straordinario di immissione in ruolo delle fasi “A”, “B” e “C” sono stati individuati soltanto in tutti gli iscritti nelle graduatorie dei vincitori e degli idonei del concorso del 2012, nonché negli iscritti alle GAE, ai sensi dell’art.1, comma 96, della legge n.107/2015.
Inoltre, anche per gli assunti della fase “A” la nota MIUR n.20299/2015 precisa che si tratta si assunzioni su sede provvisoria di servizio, così continuando a violare palesemente gli artt.399, comma 3, 436, comma 1, 475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 e l’art.7, comma 2, CCNI 13 maggio 2015, come già per i docenti della fase “0” nel D.M. n.470/2015.
In ogni caso, a rigore, in base al “cambio” di posizione interpretativa sull’art.399, comma 2, D.Lgs. n.297/1994 nello spazio di 12 giorni (prima e dopo l’entrata in vigore della riforma) tra la nota MIUR n.20299/2015 e la nota MIUR n.21739/2015 dello stesso Direttore generale, tutte le assunzioni su posti vacanti e disponibili per n.122.361 disponibilità sull’organico di diritto avrebbero potuto essere gestite in via ordinaria attraverso le compensazioni delle GAE l’art.399, commi 1 e 2, D.Lgs. n.297/1994, seppure escludendo illegittimamente gli idonei delle graduatorie precedenti al concorso 2012, e non limitare le assunzioni a n.10.849 posti, meno del 10% dei posti effettivamente disponibili per le immissioni in ruolo.
La fase “B” straordinaria/segreta su organico di diritto ridotto e riservato
Il “camuffamento” di cattedre vacanti e disponibili di n.111.512 posti residui dopo le fasi “0” e “A” ha continuato ad operare i suoi effetti negativi anche per i docenti immessi in ruolo nella fase “B”, riservata ai «soggetti di cui al comma 96, lettere a) e b), che non risultano destinatari della proposta di assunzione nella fase di cui alla lettera a) del presente comma, … assunti, con decorrenza giuridica al 1º settembre 2015, nel limite dei posti vacanti e disponibili in organico di diritto che residuano dopo la fase di cui alla lettera a), secondo la procedura nazionale di cui al comma 100» [art.1, comma 98, lett.b), della legge n.107/2015].
I docenti della fase “B” sono stati assunti con la procedura informatica segreta non modificata rispetto a quanto previsto dal DDL 2994, mentre avrebbero dovuto partecipare alle precedenti fasi “ordinarie” “0” e A” per n.100.841 posti e non essere costretti ad accettare una proposta “riservata” in via telematica per n.8776 (meno del 10% dei posti vacanti e disponibili, di cui risultano essere n.8.525 accettazioni) posti complessivi, senza alcuna possibilità di scegliere tra le tantissime sedi vacanti non indicate e senza nessuna possibilità di verificare la correttezza della proposta “selezionata” dall’algoritmo segreto del sistema gestito dal MIUR a livello centrale.
E’ di banale evidenza che l’individuazione dei posti vacanti e disponibili nell’organico di diritto era nella totale disponibilità del MIUR come dato “puntuale” storico ben prima dell’approvazione della legge n.107/2015, per cui non vi era alcuna necessità e nessuna logica nel distinguere le assunzioni in tre distinte fasi per la stessa tipologia di cattedre in organico di diritto.
La fase “C” straordinaria/segreta su organico di “potenziamento”/diritto
A fronte di questo desolante e kafkiano quadro di gestione amministrativa e legislativa non trasparente di procedure di particolare importanza sul piano della stabilità per la vita personale, familiare e professionale di decine di migliaia di docenti, anche ai docenti precari della fase “C” [destinata ai «soggetti di cui al comma 96, lettere a) e b), che non risultano destinatari della proposta di assunzione nelle fasi di cui alle lettere a) o b) del presente comma, … assunti, con decorrenza giuridica al 1º settembre 2015, nel limite dei posti di cui alla Tabella 1, secondo la procedura nazionale di cui al comma 100, come previsto dall’art.1, comma 98, lett.c), legge n.107/2015»] è stato riservato il trattamento “privilegiato” dell’immissione straordinaria in ruolo, disciplinata ex lege attraverso il sistema informatico segreto gestito dal MIUR per evitare la procedura ordinaria prevista dalla normativa di settore, ma gestita sul piano amministrativo dagli U.R.S. e dagli U.P.S.
Per i docenti da assumere nella fase “C”, invece di utilizzare comunque i n. 102.987 posti residui su organico di diritto rispetto alle fasi “0”, “A” e “B”, la procedura di reclutamento è stata incredibilmente orientata, già nella legge n.107/2015 (art.1, comma 95, 2° periodo), alla predeterminazione con la Tabella 1 allegata alla legge di riforma di n.48.812 posti di “potenziamento” e n.6446 per il sostegno, che entrano “di diritto” nell’organico dell’autonomia, la cui concreta attivazione con la costituzione degli ambiti territoriali (che sostituiscono gli albi territoriali di cui al DDL 2994) viene differita all’anno scolastico 2016/2017, cioè all’anno successivo a quello dell’immissione straordinaria.
La predeterminazione, addirittura a livello legislativo, dell’individuazione dei posti per il potenziamento «ripartiti tra i gradi di istruzione della scuola primaria e secondaria e le tipologie di posto come indicato nella medesima Tabella, nonché tra le regioni in proporzione, per ciascun grado, alla popolazione scolastica delle scuole statali, tenuto altresì conto della presenza di aree montane o di piccole isole, di aree interne, a bassa densità demografica o a forte processo immigratorio, nonché di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica» rappresenta il finto regalo per la stabilizzazione dei docenti della fase “C”, che invece avrebbero dovuto già essere immessi in ruolo in via ordinaria e senza ricorrere a nessuna specifica previsione di legge, sulla base di una trasparente e corretta individuazione con un semplice D.M. autorizzatorio di tutti i posti vacanti e disponibili “una tantum”.
Che il MIUR abbia intenzionalmente nascosto decine di migliaia di posti vacanti e disponibili su organico di diritto lo si evince dalla previsione dell’art.1, comma 99, della legge n.107/2015: «Per i soggetti assunti nelle fasi di cui alle lettere b) e c) del comma 98, l’assegnazione alla sede avviene al termine della relativa fase, salvo che siano titolari di contratti di supplenza diversi da quelli per supplenze brevi e saltuarie. In tal caso l’assegnazione avviene al 1º settembre 2016, per i soggetti impegnati in supplenze annuali, e al 1º luglio 2016 ovvero al termine degli esami conclusivi dei corsi di studio della scuola secondaria di secondo grado, per il personale titolare di supplenze sino al termine delle attività didattiche. La decorrenza economica del relativo contratto di lavoro consegue alla presa di servizio presso la sede assegnata.».
Il legislatore della 107 – che neanche nei lavori preparatori né nella relazione tecnica ha mai rappresentato il numero di posti vacanti e disponibili di personale docente da immettere in ruolo nel 2015/2016 – ammette, dunque, la natura fraudolenta dell’immissione straordinaria in ruolo perché, pur avendo riservato le assunzioni stabili a tutte le cattedre senza titolare, già prefigura lo scenario di moltissimi docenti della fase “B” che comunque dal 1° settembre 2015 avrebbero beneficiato, nelle more della proposta “segreta” di incarico (che, per i docenti della fase “B”, è arrivata nella notte tra il 1 e il 2 settembre 2015) in sedi lontanissime dalla propria residenza lavorativa e abitativa, sarebbero stati destinatari di supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche nell’ambito delle GAE in cui erano iscritti.
Pur potendo con i potenti mezzi informatici del fantastico algoritmo del MIUR e del sistema telematico di cui alla procedura dell’art.1, comma 100, della legge n.107/2015 avere in pochi minuti dopo il completamento della procedura di domanda di ammissione al piano straordinario la notizia delle proposte di incarico (un potente software non è lento come gli umani) ben prima del 31 agosto 2015, i docenti della fase “B”, per il deliberato ritardo del cervellone nella proposta di incarico, hanno ricevuto dagli U.R.P. proposte di incarico di posti vacanti e disponibili artatamente non inseriti nel piano straordinario di immissione in ruolo e che, se conferiti a personale non di ruolo come formalmente essi erano prima dell’immissione in ruolo, ne avrebbero comportato la nullità di diritto, ai sensi dell’art.32, commi 2 e 5-quater, D.Lgs. n.165/2001 e non invece, come nella fattispecie di causa, l’assegnazione definitiva della sede lavorativa presso la GAE di iscrizione, ai sensi dello stesso art.36, comma 2, ultimo periodo, T.U. sul pubblico impiego.
Del resto, con il Decreto n.767 del 17 luglio 2015 il Direttore generale per il personale scolastico, nell’avviare il piano straordinario di immissioni in ruolo e la tempistica per gli avvisi sulla Gazzetta ufficiale ai fini della partecipazione dei docenti interessati alle fasi “B” e “C”, rileva per la prima volta la consistenza dei posti disponibili e vacanti del personale docente delle istituzioni scolastiche statali per l’anno scolastico 2015/2016, pari complessivamente a n. 47.476 posti, che quindi avrebbero potuto già essere assunti con la fase “A” e, a rigore, con la ordinaria “0”.
Se a questo dato si sottraggono i n.10.849 posti assegnati alla fase “A” con la citata nota MIUR n.21739 del 22 luglio 2015, nonché i n.8776 incarichi “proposti” nella fase “B”, mancano all’appello n.29.625 di “organico di diritto” rispetto ai n.47.476 posti disponibili (così il Decreto MIUR n.767/2015, che evidentemente continua a nascondere le supplenze fino al termine delle attività didattiche dall’organico effettivo e reale, che avrebbe dovuto costituire finalmente l’intero organico di diritto).
In buona sostanza, attraverso una procedura ordinaria di assunzione, avrebbero dovuto essere immessi in ruolo tutti gli aventi diritto nell’ambito delle GAE o delle graduatorie concorsuali regionali in cui erano iscritti, senza ricorrere alle alchimie algoritmiche di un sistema informatico impostato su dati di organico carenti e in totale assenza di informazioni per i docenti interessati.
- I concorsi nulli del 2016, per violazione dell’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013
Altri elementi normativi e documentali confermano che, alla data del 7 luglio 2015 quando è stata aperta la procedura della fase “0” con il D.M. n.470/2015, il MIUR era perfettamente a conoscenza dell’esistenza di n.133.210 cattedre su posti vacanti e disponibili che avrebbero potuto essere destinate ad una procedura ordinaria e non straordinaria di immissione in ruolo.
Infatti, a differenza del DDL 2994 che nulla prevedeva sul punto, la legge n.107/2015 ha previsto all’art.1, comma 114, l’autorizzazione a bandire entro il 1° dicembre 2015 un concorso per titoli ed esami per l’assunzione a tempo indeterminato, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, per tutti i posti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio.
Come si è avuto modo di precisare, i DDG del 25 febbraio 2016 nn.105-106-107 hanno bandito illegittimamente, stante il divieto dell’art.4, comma 3, D.L. n.101/2013 in presenza di graduatorie di idonei ancora valide fino al 31 dicembre 2016, concorsi pubblici per titoli ed esami aperti a tutti gli abilitati all’insegnamento, per immettere in ruolo a decorrere dal 1/9/2016 rispettivamente per n.6933 unità per la scuola dell’infanzia, per n.17.299 cattedre per la scuola primaria, per n.33.379 cattedre per le scuole secondarie di 1° e di 2° grado, per n.6.101 cattedre per il sostegno, su posti, evidentemente, vacanti e disponibili non evidenziati in precedenza dal MIUR.
Per avere validità le predette procedure concorsuali avrebbero dovuto essere riservate esclusivamente agli idonei nelle GAE e nelle graduatorie di istituto o di circolo di I e di II fascia, non ancora immessi in ruolo entro il 1/9/2015, compresi i docenti che non avevano presentato la domanda con incognita di scelte “migratorie” nelle fasi “B” e “C” del piano straordinario, che avevano superato maturato i 36 mesi di servizio anche non continuativi (comprese le supplenze temporanee), ai sensi dell’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013.
- Il MIUR continua ad assegnare supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche “nulle” per l’anno scolastico 2015/2016
In ogni caso, le cattedre vacanti e disponibili al 1/9/2015 non assegnate alle formali immissioni in ruolo erano decine di migliaia, al punto che con la nota del 10 settembre 2015 prot.n.1949 il MIUR si preoccupa (ancora) di conferire supplenze annuali dalle graduatorie di istituto di I e di II fascia del personale docente ed educativo per l’anno scolastico 2015/2016, nonostante il divieto di cui al combinato disposto dell’art.36, commi 2 e 5-quater, D.Lgs. n.165/2001, non senza aver precisato che «i posti rimasti disponibili a causa del differimento, previsto dalla L. 107/2015, dell’assegnazione della sede al personale nominato in ruolo nella Fase B del piano assunzionale (cfr. nota DGPER prot. 28853 del 07/09/15) dovranno essere coperti con contratto a tempo determinato fino al 30 giugno, eventualmente prorogabile fino al 31 agosto, qualora successivamente risulti che il neo nominato in ruolo abbia stipulato un contratto fino a tale ultima data. In considerazione, poi, della riprogrammazione delle tempistiche inerenti le procedure di cui al D.D.G. 6 luglio 2015 n.680 le nomine da attribuire sui posti comuni in relazione alle graduatorie di istituto di prima e seconda fascia, valide per il triennio 2014/17, devono essere assegnate fino al 30 giugno, con esclusione di quelli residuali che si riferiscono a istituzioni scolastiche oggetto di dimensionamento.».
Insomma, le supplenze annuali al 31 agosto e quelle fino al termine delle attività didattiche fino al 30 giugno sono due facce della stessa medaglia organizzativa, come tali interscambiabili ma sempre univocamente rivelatrici di posti vacanti e disponibili.
Sul punto, un’ultima definitiva conferma la possiamo riscontrare nella previsione dell’art.1, comma 69, della legge n.107/2015, che ripropone le dotazioni organiche aggiuntive ancora disciplinate dall’art.13 della legge n.270/1982 rispetto al nuovo organico dell’autonomia: anche tale ulteriore dotazione aggiuntiva, nonostante il notevole incremento dell’organico di potenziamento con la tabella 1 alla legge di riforma, è rivelatrice dell’operazione di nascondimento degli effetti dati dei posti vacanti e disponibili da parte del MIUR, in prospettiva della incredibile mobilità straordinaria professionale disciplinata dall’art.1, comma 108, della legge n.107/2015.
- La definitività al 1/9/2015 dell’assegnazione della sede di immissioni in ruolo in prova: i dati normativi nel T.U. sulla scuola, nella legge n.107/2015 e nel CCNI del 13 maggio 2015
A prescindere dallo stravolgimento ingiustificato delle regole ordinarie di reclutamento scolastico, il complesso quadro descrittivo delle vicende legislative, amministrative e giudiziarie che si è innanzi delineato consente agevolmente di poter riconoscere a decine di migliaia di docenti il diritto a considerare come definitiva la sede di assegnazione “originariamente” destinata a supplenza fino al termine delle attività didattiche, ma poi “utilizzata” dal MIUR per lo svolgimento del periodo di formazione e prova del docente neo assunto fino al suo superamento con la conferma del ruolo.
I dati normativi, contrattuali e amministrativi che confortano queste conclusioni sono i seguenti:
- tranne che per le modalità di reclutamento straordinario a livello nazionale e non a livello regionale e provinciale della GAE in cui il docente era iscritto prima dell’immissione in ruolo, quindi ad eccezione dell’art.399, commi 1 e 2, D.Lgs. n.297/1994, la legge n.107/2015 non ha previsto nessuna deroga all’applicazione integrale del T.U. sulla scuola per tutti i docenti assunti in ruolo dall’anno scolastico 2015/2016;
- in conseguenza, a decine di migliaia di docenti assunti nelle fasi “B” e “C” sono stati applicati, nella fase di gestione amministrativa della prima nomina in ruolo con decorrenza dal 1/9/2015, l’art.436 D.Lgs. n.297/1994 sulla nomina ed assegnazione di sede (del resto espressamente richiamato nel decreto di superamento del periodo di formazione e prova) e gli artt.437-440 del testo unico sul periodo di prova, espressamente richiamati dall’art.1, comma 119, della legge n.107/2015 in quanto perfettamente compatibili (in realtà, sostanzialmente identici) con il periodo di formazione e di prova per i nuovi iscritti di cui all’art.1, commi 115-118, della riforma;
- l’art.475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 e l’art.7, comma 2, CCNI 13 maggio 2015, in combinato disposto, escludono la possibilità di assegnazione provvisoria per i docenti di prima nomina assunti in ruolo con decorrenza 1/9/2015;
- l’art.1, comma 99, della legge n.107/2015 conferma che il posto originariamente qualificato come supplenza fino al 30 giugno quale termine delle attività didattiche (prorogabile fino al 31 agosto nel caso di immissione in ruolo nella fase “B” del docente “temporaneamente supplente”, come ammette la nota MIUR del 10 settembre 2015 prot.n.1949) era la sede definitiva di servizio (cioè confermato anche dalla nota esplicativa del MIUR a pag.22 del supplemento ordinario n.44 a G.U. 30 luglio 2015, n.175[61]), in quanto, diversamente, l’assegnazione sarebbe slittata al termine della supplenza e non il docente neo immesso non avrebbe potuto effettuare e superare positivamente il periodo di formazione e di prova, come in realtà è avvenuto;
- l’art.1, comma 73, 2° periodo, della riforma prevede che al personale docente assunto nelle fasi “0” e “A” nell’anno scolastico 2015/2016 mediante le procedure di cui all’art.399 D.Lgs. n.297/1994 continuano ad applicarsi le disposizioni del testo unico sulla scuola in merito all’attribuzione della sede durante l’anno di prova e alla successiva destinazione alla sede definitiva, formula ambigua perché assolutamente inutile, se non fosse per il fatto che ha consentito al MIUR arbitrariamente di trasformare per gli assunti nelle fasi “0” (con l’art.3 D.M. n.470/2015) e “A” (con la nota MIUR n.21739 del 22 luglio 2015) l’assegnazione definitiva e con obbligo di permanenza triennale di cui agli artt.399, comma 3, e 436 D.Lgs. n.297/1994 in una sede provvisoria ai fini della possibilità di partecipare – de iure condendo – alla procedura di mobilità straordinaria di cui all’art.1, comma 108[62], della legge n.107/2015 e in violazione della stessa norma, che, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 26 maggio 2016, n.89 in sede di conversione del D.L. 29 marzo 2016, n. 42, cui è stato aggiunto l’art.1-bis dal titolo “Disposizioni in materia di assegnazioni provvisorie”, consentiva la deroga al vincolo triennale di permanenza nella sede di prima e definitiva assegnazione, previsto dall’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994, soltanto agli immessi in ruolo entro l’anno scolastico 2014/2015 -, così violando palesemente gli artt.399, comma 3, 436, comma 1, 475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 e l’art.7, comma 2, CCNI 13 maggio 2015;
- l’art.1, comma 73, 3° periodo, della legge n.107/2015 per gli assunti in ruolo nelle fasi b) e c) prevede espressamente soltanto l’assegnazione agli ambiti territoriali con decorrenza dall’anno scolastico 2016/2017, ma non esclude l’applicazione dell’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994, che presuppone la definitività della sede di assegnazione, salvo il mancato superamento del periodo di prova e la mancata conferma del ruolo, così come tutti gli altri articoli del testo unico applicabili e applicati ai nuovi stabilizzati;
- l’art.1, comma 108, 1° e 2° capoverso, della legge n.107/2015, prevede effettivamente che, nell’ambito del piano straordinario di mobilità territoriale e professionale, i docenti assunti entro l’anno scolastico 2014/2015 potessero partecipare, a domanda, alla mobilità per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, in deroga all’obbligo di permanenza triennale di cui all’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994, «per tutti i posti vacanti e disponibili inclusi quelli assegnati in via provvisoria nell’anno scolastico 2015/2016 ai soggetti di cui al comma 96, lettera b), assunti ai sensi del comma 98, lettere b) e c)»;
- tuttavia, come si è precisato, l’art.7, comma 2, CCNI del 13 maggio 2015 e l’art.475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 non consentono nessuna assegnazione provvisoria di sede per gli assunti di prima nomina nell’anno scolastico 2015/2016, e, in conseguenza, la disposizione in parte qua sulla individuazione di cattedre derivanti da assegnazioni provvisorie di posti vacanti e disponibili per gli assunti nelle fasi “B” e “C” delle immissioni in ruolo dell’anno scolastico 2015/2016 da un lato è di impossibile attuazione, perché vietata l’assegnazione provvisoria, dall’altro conferma la natura fraudolenta dell’intero impianto normativo-organizzativo della riforma perché, diversamente opinando, si ammette, esplicitamente, che i posti assegnati “in via provvisoria” agli immessi in ruolo nelle fasi “B” e “C” erano posti vacanti e disponibili dell’organico di diritto (e non dell’autonomia, che parte a regime solo con l’anno scolastico 2016/2017 dopo la definizione degli ambiti territoriali), in quanto tali destinati ad essere utilizzati per le immissioni in ruolo soltanto con la procedura ordinaria di cui all’art.399 D.Lgs. n.297/1994, integrata dalle graduatorie dei concorsi riservati di cui all’art.4, comma 6, D.L. n.101/2013, e non certamente con lo sciagurato piano straordinario di immissione in ruolo inventato dal legislatore del Porcellum;
- in conseguenza, anche la previsione dell’art.1, comma 8, 3° capoverso, della legge n.107/2016, che consentiva ai docenti assunti nelle fasi “B” e “C” del piano straordinario di immissioni in ruolo e assegnati su sede provvisoria per l’anno scolastico 2015/2016, di partecipare per l’anno scolastico 2016/2017 alle operazioni di mobilità su tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, ai fini dell’attribuzione dell’incarico triennale, era di impossibile attuazione, per le ragioni già precisate;
- e ancora, una conferma “fantozziana” del carattere di definitività dell’assegnazione di sede per tutti gli immessi in ruolo nell’anno scolastico 2015/2016, e della conseguente applicazione dell’obbligo triennale di permanenza nella sede di prima nomina e dove è stato superato l’anno di prova, è nel nuovo testo dell’art.1, comma 108[63], 4° capoverso, della legge n.107/2015, modificato con decorrenza dal 29 maggio 2016 a seguito dell’art.1-bis D.L. n.42/2016, che, nell’estendere (“retroattivamente” per l’anno scolastico 2015/2016) anche a tutti i docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno scolastico 2015/2016 (mentre nel testo originario era prevista soltanto per i docenti assunti entro l’anno scolastico 2014/2015) la possibilità di richiedere l’assegnazione provvisoria interprovinciale limitatamente agli anni scolastici 2015/2016 e 2016/2017 (mentre nel testo originario era prevista soltanto per l’anno scolastico 2016/2017), attesta esplicitamente che il vincolo triennale di permanenza nella sede di prima assegnazione di cui all’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994 va applicato anche a tutti docenti assunti nell’anno scolastico 2015/2016, a qualsiasi fase o ciclo della vita professionale appartengano;
- infine, una ulteriore conferma “fantozziana” del carattere di definitività dell’assegnazione di sede per tutti gli immessi in ruolo nell’anno scolastico 2015/2016 su posti (già) vacanti e disponibili dell’organico di diritto, riviene dall’art.1, comma 108, 6° capoverso, della legge n.107/2015, introdotto con decorrenza dal 29 maggio 2016 con l’art.1-bis D.L. n.42/2016, che consente a tutti i docenti assunti entro l’anno scolastico 2015/2016 di poter richiedere l’assegnazione provvisoria interprovinciale sui posti dell’organico dell’autonomia nonché sul contingente di posti di cui all’art.1, comma 69, della stessa legge di riforma, così attestando l’esistenza ancora di posti vacanti e disponibili nascosti dal MIUR con il piano straordinario di immissione in ruolo (la dotazione organica aggiuntiva già prevista dall’art.13 della legge n.270/1982, tuttora vigente).
- La riforma della “Buona scuola” e la mobilità professionale straordinaria per l’anno scolastico 2016/2017 nel CCNI dell’8 aprile 2016
Per realizzare il delitto perfetto dello stravolgimento totale della macchina amministrativa scolastica, in data 8 aprile 2016 è stato stipulato dal MIUR e dalle OO.SS. firmatarie del CCNL di Comparto, ad eccezione della GILDA-UNAMS, il Contratto collettivo nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l’anno scolastico 2016/2017, a cui faranno seguito le modifiche all’art.1, comma 108, della legge n.108/2015, introdotte con decorrenza dal 29 maggio 2016 a seguito dell’art.1-bis D.L. n.42/2016, a sua volta inserito in sede di conversione della legge n.89/2016, ampiamente illustrate in precedenza.
Prima di occuparci del CCNI dell’8 aprile 2016 sulla mobilità, tuttavia, è il caso di analizzare la disciplina ordinaria vigente in materia di trasferimenti di personale docente e il rapporto “gerarchico” tra le fonti di diritto in subiecta materia di organizzazione degli uffici e di mobilità del personale, dal momento che nessuna modifica sul punto è stata realizzata dalla legge n.107/2015 e, in specie, dai commi 73 e 118 dell’articolo unico, disposizioni che si sono limitate a delineare l’organico dell’autonomia con la ripartizione dell’originario ambito territoriale provinciale dell’organico di diritto in ambiti territoriali subprovinciali (che hanno sostituito l’ambito comunale), con assegnazione del personale docente in una sede definitiva presso il nuovo ambito territoriale subprovinciale, su cui operare dall’anno scolastico 2016/2017 la nuova mobilità professionale per i trasferimenti del personale docente.
La disciplina vigente in materia di trasferimenti a domanda del personale docente è compiutamente delineata dagli artt.462-466 del D.Lgs. n.297/1994, mentre la mobilità d’ufficio è regolata dagli artt.467-469 del T.U. sulla scuola e riguarda esclusivamente in caso di soppressione di posto o di cattedre o l’accertata situazione di incompatibilità ambientale di permanenza del personale docente nella scuola o nella sede (art.467, comma 1).
Gli ambiti dei trasferimenti a domanda sono quello comunale (sostituito dall’ambito territoriale subprovinciale, nell’organico dell’autonomia), come disciplinato dall’art.464 T.U., che sono disposti con precedenza rispetto ai trasferimenti da comune diverso; quelli provinciale e interprovinciale, disciplinati dall’art.465 D.Lgs. n.297/1994.
L’art.470 D.Lgs. n.297/1994 sulla mobilità professionale individua rigorosamente gli spazi della contrattazione collettiva nazionale integrativa, nessuno dei quali va a modificare la disciplina dei trasferimenti a domanda né quella dell’assegnazione provvisoria di sede di cui all’art.475 dello stesso Testo unico.
E’ anche noto che le modifiche introdotte dalla riforma “Brunetta” all’art.2, commi 2 e 3-bis, del testo unico sul pubblico impiego hanno capovolto l’originario rapporto tra legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione dei rapporti di lavoro pubblici, laddove la contrattazione collettiva nazionale può derogare alle disposizioni di legge soltanto ove la stessa fonte legale lo preveda e nei limiti in cui essa disponga, comminando con la sanzione della nullità le regole contrattuali che derogano alla legislazione senza alcuna autorizzazione. Inoltre, l’art.40, comma 1, 2° periodo, D.Lgs. n.165/2001 esclude espressamente dalla contrattazione collettiva nazionale e integrativa le materie attinenti all’organizzazione degli uffici.
Le citate disposizioni di legge del testo unico sulla scuola in materia di trasferimenti a domanda e di mobilità professionale sono state illegittimamente derogate dal CCNI dell’8 aprile 2016 nei confronti di tutto il personale docente assunto nell’anno scolastico 2015/2016 all’esito delle fasi “B” e “C” del piano straordinario di immissioni in ruolo.
In particolare, ai sensi dell’art.2, comma 1, CCNI dell’8 aprile 2016 «le disposizioni relative ai trasferimenti e ai passaggi contenute nel presente titolo si applicano ai docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con sede definitiva, ivi compresi quelli titolari sulla provincia e quelli titolari sui posti delle dotazioni organiche di sostegno (DOS) della scuola secondaria di II grado, ed a quelli immessi in ruolo senza sede definitiva ai sensi dell’art. 399 del dlgs 297/94, i quali partecipano alle operazioni di trasferimento contestualmente ai docenti di ruolo con sede definitiva, nonché al personale insegnante tecnico pratico degli EE. LL. transitato nello Stato con la qualifica di insegnante tecnico-pratico.».
Quindi, in buona sostanza, il CCNI dell’8 aprile 2016 poteva operare nei confronti dei docenti assunti nelle fasi “B” e “C” del piano straordinario della legge n.107/2015, in deroga alle disposizioni di cui all’art.399, commi 1-2, D.Lgs. n.297/1994, solo in quanto «docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con sede definitiva», dal momento che soltanto i docenti delle fasi “0” e “A”, peraltro arbitrariamente in base a disposizioni amministrative e non alla norme legali e contrattuali (che lo vietavano e lo vietano), potevano essere considerati tra i soggetti «immessi in ruolo senza sede definitiva ai sensi dell’art. 399 del dlgs 297/94».
Tuttavia, l’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994 vieta espressamente ai docenti neo assunti o di nuova assegnazione di sede di poter presentare domanda di mobilità professionale prima del triennio di permanenza nella sede, con conseguente inapplicabilità della procedura di mobilità professionale ai docenti delle fasi “B” e “C” del piano straordinario (e di tutti gli assunti nell’anno scolastico 2015/2016).
A questo punto l’art.2, comma 3, CCNI 8 aprile 2016 inventa, contra legem, la mobilità professionale a domanda o d’ufficio per i docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni: «3. I docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni partecipano alla mobilità al fine di ottenere la titolarità su ambito territoriale. A tal fine i docenti assunti da graduatorie di merito partecipano alla fase B dei movimenti prevista dall’art 6 con preventivo accantonamento numerico dei posti nella provincia di nomina provvisoria. I docenti assunti da graduatorie ad esaurimento partecipano alla fase C prevista dall’art 6 per tutti gli ambiti nazionali. Per entrambe le categorie, in caso di non accoglimento delle preferenze parzialmente espresse la mobilità avverrà d’ufficio partendo dal primo ambito territoriale espresso. In caso di non presentazione della domanda la mobilità avviene d’ufficio considerando per gli assunti da graduatoria di merito tutti gli ambiti territoriali della provincia e per gli assunti da graduatoria ad esaurimento tutti gli ambiti nazionali. L’assegnazione d’ufficio avverrà nel primo ambito disponibile a partire da quelli della provincia di immissione in ruolo e sulla base delle tabelle di viciniorietà degli ambiti e delle provincie previste dall’apposita OM.».
Al CCNI 8 aprile 2016 seguirà immediatamente la contestuale O.M. n.241/2016.
In buona sostanza, l’art.2, comma 3, CCNI 8 aprile 2016 ha violato gli artt.399, comma 3, 436, 462, 467, 470, 475, comma 4, D.Lgs. n.297/1994 e l’art.7, comma 2, CCNI 13 maggio 2015, che alle disposizioni di legge si era conformato sul divieto di assegnazione provvisoria di sede agli assunti in ruolo con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015, obbligando invece illecitamente i docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di immissioni in ruolo a partecipare ad una procedura di mobilità professionale che era per gli stessi vietata dalla legge.
Né le modifiche all’art.1, comma 108, della legge n.107/2015, introdotte in sede di conversione con decorrenza dal 29 maggio 2016 dall’art.1-bis D.L. n.42/2016, possono essere utilizzate a sanare ex post l’illegittima mobilità professionale imposta ai docenti delle fasi “B” e “C” del piano straordinario di immissioni in ruolo dal CCNI dell’8 aprile 2016, confermando invece le predette modifiche, per le ragioni già ampiamente illustrate, la strumentalità, l’illegittimità, l’arbitrarietà, l’illiceità dell’intera operazione “congiunta” di reclutamento e di mobilità professionale extra ordinem.
Ovviamente, era sufficiente una semplice operazione informatica e un sistema operativo di non particolare complessità per realizzare quanto previsto dall’art.1, comma 73, della legge n.107/2016, cioè l’assegnazione del personale docente assunto ai sensi del comma 98, lettere b) e c), dell’articolo unico della stessa legge agli ambiti territoriali a decorrere dall’anno scolastico 2016/2017 (sostituendo cioè l’indicazione dell’ambito comunale in cui la sede definitiva è allocata con il nuovo ambito territoriale, coincidente con il territorio comunale o dimensioni più ampie subprovinciali), senza effettuare alcuna mobilità professionale che, peraltro, è stata consentita anche agli assunti nelle fasi “0” e A” per l’anno scolastico 2015/2016 ma soltanto a domanda, pur essendo espressamente vietata dall’art.399, comma 3, D.Lgs. n.297/1994.
- Conclusioni: il dialogo diretto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ha rafforzato la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici precari, in contrasto con le Istituzioni interne preposte alla funzione legislativa e al governo della cosa pubblica
La Corte costituzionale ha dato grande dimostrazione di saggezza, equilibrio, capacità di ascolto delle istanze dei lavoratori precari pubblici, salvaguardando le finanze erariali e ricostruendo in modo eccellente e inequivoco un sistema di garanzie eurounitario dei diritti fondamentali in un settore centrale della vita sociale ed economica del nostro Paese.
La sentenza n.187/2016 del Giudice delle leggi presuppone l’analisi del quadro disastroso degli interventi legislativi e amministrativi sul sistema di reclutamento scolastico “straordinario”, che sono stati innanzi compiutamente delineati.
Del resto, il dato oggettivo dello stravolgimento del piano assunzionale ordinario voluto dal Governo Letta, su sollecitazione della stessa Corte costituzionale con le ordinanze nn.206-207/2013, è stato rappresentato ampiamente al Giudice delle leggi all’udienza pubblica del 17 maggio 2016, così come è stata rappresentata l’assurda situazione di immissione in ruolo dalle graduatorie ad esaurimento di docenti che non hanno mai lavorato nella scuola pubblica e che mai avrebbero potuto accedere alla stabilità lavorativa, così come è stata sottolineata l’esclusione dal piano di stabilizzazione straordinaria della legge n.107/2015 di decine di migliaia di precari abilitati con significativa anzianità di servizio nelle scuole pubbliche, per la mera circostanza (peraltro in violazione di legge, come si è ampiamente precisato) di non essere inseriti nelle GAE per colpa del MIUR.
La sentenza “a valenza normativa” n.187/2016 della Corte costituzionale andrà applicata con decisione e con fermezza e questo sarà il momento più difficile, perché chi non ha capito il prima, difficilmente sarà in grado di comprendere il dopo.
In ogni caso il dato è tratto, la stabilizzazione di tutti i docenti precari è la meta da raggiungere, di danno comunitario o extracomunitario o di altre amenità di questo genere se ne parlerà sempre di meno.
[1] Corte cost., Pres. Grossi, Est. Coraggio, sentenza n.187/2016 e ordinanze nn.194 e 195/2016. Sulla sentenza n.187/2016 v. M. Miscione, La fine del precariato pubblico ma non solo per la scuola pubblica, in Lav. giur., 2016, n.8-9, p.745; A. Paolitto, Il precariato scolastico tra “la buona scuola” e il dialogo “multilevel” delle Corti: l’occasione per un bilancio, in giustiziacivile.com, n.9/2016, 8 settembre 2016; F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario anche alla luce della sentenza n. 187/2016 della Corte costituzionale sul precariato scolastico, su Mass.giur.lav., 2016, in corso di pubblicazione.
[2] Trib. Roma, Est. Centofanti, ordinanze nn.143 e 144/2012 Reg.Ord.
[3] Trib. Lamezia Terme, Est. Coraggio, ordinanze nn.248 e 249/2012 Reg.Ord.
[4] Trib. Trento, Est. Flaim, ordinanze nn.32, 33 e 34/2014 Reg.Ord.
[5] Corte cost., Pres. Gallo, Est. Mattarella, ordinanze 18 luglio 2013, nn. 206 e 207. Sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale, cfr. U. Adamo, Nel dialogo con la Corte di giustizia la Corte costituzionale è un organo giurisdizionale nazionale anche nel giudizio incidentale. Note a caldo sull’ord. n. 207/2013, in www.forumcostituzionale.it, 24 luglio 2013; A. Adinolfi, Una “rivoluzione silenziosa”: il primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana in un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, in Riv.dir.int., 2013, n.4, p.1249; A. Celotto, Il completamento degli “strumenti di dialogo” tra Corte costituzionale e Corte di Lussemburgo, in www.giustamm.it, 2013, n.12; A. Cerri, La doppia pregiudiziale in una innovativa decisione della Corte, in Giur.cost., 2013, n.4, p.2897; V. De Michele, L’ordinanza “Napolitano” di rinvio pregiudiziale Ue della Corte costituzionale sui precari della scuola: la rivoluzione copernicana del dialogo diretto tra i Giudici delle leggi nazionali ed europee, in Id., Il dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia sui diritti dei lavoratori nel pubblico impiego, in absentia legum et contra legem, in www.europeanrights.eu, 2015; A. Denuzzo, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nella vicenda dei marchi territoriali pubblici di qualità per la valorizzazione dell’economia rurale, in www.giurcost.org, 2014; G. Diotallevi, La crisi finanziaria europea e i diritti dei cittadini, in Quest.giust., 2014, n.1, p.103; T. Guarnier, Rinvio pregiudiziale interpretativo e giudizio di legittimità costituzionale. Nuovi scenari e nuove prospettive nel crocevia sopranazionale, in Dir.soc., 2013, n.2, p.237; B. Guastaferro, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207 del 2013, in www.forumcostituzionale.it, 2013; MP. Iadicicco, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia: osservazioni sul primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana nell’ambito di un giudizio di legittimità in via incidentale, in www.associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 2014; E. Lamarque, Le relazioni tra l’ordinamento nazionale, sovranazionale e internazionale nella tutela dei diritti, in Dir.pubbl., 2013, n.3, p. 727; M. Losana, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nei giudizi in via incidentale: il diritto costituzionale (processuale) si piega al dialogo tra le Corti, in www.associazionedeicostituzionalisti.rivista.it, 2014, n.1; E. Lupo, L’evoluzione del dialogo tra le Corti, in Quest.giust., 2014, n.1, p.33; L. Menghini, Riprende il dialogo tra le Corti superiori: contratto a termine e leggi retroattive, su Riv.giur.lav., 2013, 4, p.425; Id., Dialogo e contrasti tra le Corti europee e nazionali: le vicende del personale ATA non sono ancora terminate, in Lav.giur., 2014, n.5, p.455; A.M. Perrino, Nota e Corte cost., ord. n. 207/2013, in Foro it., 2013, I, p.3059; L. Pesole, Un altro passo avanti nel percorso: la Corte costituzionale rinvia alla Corte di Giustizia in un giudizio in via incidentale, in www.federalismi.it, 2013, n.25; G. Repetto, I mutevoli equilibri del rinvio pregiudiziale: il caso dei precari della scuola e l’assestamento dei rapporti tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in www.diritticomparati.it, 2014; Id., La Corte costituzionale effettua il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE anche in sede di giudizio incidentale: non c’è mai fine ai nuovi inizi, in www.dirittocomparati.it, 2013; A. Ruggeri, I rapporti tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali, in Quest.giust., 2014, n.1, p. 53; C. Salazar, La Corte costituzionale bussa ancora alle porte della Corte di giustizia dell’Unione europea: brevi note interno alla questione pregiudiziale sui docenti precari nella scuola pubblica, in www.confronticostituzionali.eu, 2013; Id., Crisi economica e diritti fondamentali – Relazione al XXVIII convegno annuale dell’Aic, in www.rivistaaic.it, 2013, n.4; L. Saltari, La precarietà del lavoro nella scuola italiana nel difficile dialogo tra le Corti, in Giorn.dir.amm., 2015, n.2, p.219; G. Tesauro, Il lavoro delle Corte – Anche le Corti cambiano, in Quest.giust., 2014, n.1, p.39; L. Trucco, L’uso fatto della Carta dei diritti dell’Unione nella giurisprudenza costituzionale (2000-2015), in www.giurcost.org, 2016, n.1; L. Barretta Uccello, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nel giudizio in via incidentale, in www.associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 2013.
[6] Corte giust.Ue, III Sezione, sentenza 26 novembre 2014, in cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13 e C-418/13 Mascolo, Forni, Racca, Napolitano ed altri contro Miur, nonché C-63/13 Russo contro Comune di Napoli, con l’intervento di Cgil, Flc-Cgil e Gilda-Unams nella causa Racca C-63/13; su cui cfr. M. Aimo, I precari della scuola tra vincoli europei e mancanze del legislatore domestico, 2015, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT; L. Calafà, Il dialogo multilevel tra le Corti e la “dialettica prevalente”: le supplenze scolastiche al vaglio della Corte di giustizia, in Riv.it.dir.lav., II, 2015, 336 ss.; P. Coppola, Breve commento alla sentenza Mascolo della Corte di giustizia, 2015, in europeanrights.eu; M. De Luca, Un gran arrêt della Corte di giustizia dell’Unione europea sul nostro precariato scolastico statale: il contrasto con il diritto dell’Unione, che ne risulta, non comporta l’espunzione dal nostro ordinamento, né la non applicazione della normativa interna confliggente (prime note in attesa dei seguiti), in Lav.pp.aa., 2014, 499 ss.; V. De Michele, L’interpretazione “autentica” della sentenza Mascolo-Fiamingo della Corte di giustizia UE sulla tutela “energica” del lavoro flessibile alle dipendenze di datori di lavoro pubblici e privati, in europeanrights.eu, 10 gennaio 2015; id, La sentenza Mascolo della Corte di giustizia sul precariato pubblico e i controversi effetti sull’ordinamento interno, ibidem, 11 novembre 2015; F. Ghera, I precari della scuola tra Corte di giustizia, Corte costituzionale e Giudici comuni, in Giur.cost., 2015, 158 ss.; S. Galleano, La sentenza Mascolo sulla scuola rischia di avere effetti clamorosi per il precariato degli altri enti pubblici, in europeanrights.eu, 8 gennaio 2015; R. Irmici, La sentenza Mascolo della Corte di giustizia dell’Unione europea e lo strano caso del giudice del rinvio pregiudiziale che immette ma non converte, in Nov.dir.amm., 2015, 2, 177 ss.; L. Menghini, Sistema delle supplenze e parziale contrasto con l’accordo europeo: ora cosa succederà?, in Riv.it.dir.lav., 2015, II, 343 ss.; M. Miscione, Il Tribunale di Napoli immette in ruolo i precari della Pubblica Amministrazione, in Quot.giur., 5 gennaio 2015, n. 5; R. Nunin, «Tanto tuonò che piovve»: la sentenza “Mascolo” sull’abuso del lavoro a termine nel pubblico impiego, su questa Rivista, 2015, 146 ss.; A.M. Perrino, La Corte di giustizia come panacea dei precari?, in Foro it., 2014, II, 93 ss.; V. Pinto, Il reclutamento scolastico tra abuso dei rapporti a termine e riforme organizzative, in Lav.pubb.amm., 2015, 915 ss.; G. Santoro Passarelli, Contratto a termine e temporaneità delle esigenze sottostanti, in Arg.dir.lav., 2015, 189 ss.; N. Zampieri, Sulle conseguenze nel lavoro pubblico della violazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 368/2001, in materia di assunzioni a tempo determinato, dopo le pronunce Affatato, Carratù, Papalia e Mascolo della CGUE, in Ris.um., 2015, 2, 213 ss. Il Collegio a cinque Giudici della III Sezione era composto dallo sloveno M. Ilešič (Presidente), dall’irlandese A. Ó Caoimh (Relatore), dalla rumena C. Toader, dal lituano E. Jarašiūnas e dallo svedese C.G. Fernlund. Con ordinanza del Presidente della Corte Skouris dell’8 marzo 2013, le cause C‑22/13 e da C‑61/13 a C‑63/13, sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza. Con successiva decisione della III Sezione dell’11 febbraio 2014, le cause C‑22/13 e da C‑61/13 a C‑63/13 nonché la causa C‑418/13 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza. Le conclusioni dell’Avvocato generale polacco Szpunar sono state presentate il 17 luglio 2014, all’esito dell’udienza pubblica di trattazione orale del 27 marzo 2014. Hanno presentato osservazioni scritte e orali le parti ricorrenti R. Mascolo (C-22/13), A. Forni (C-61/13), I. Racca (C-62/13), assistite dagli avv.ti M. Ambron, P. Ambron, L. Martino, V. De Michele, S. Galleano, M. Miscione, F. Visco, R. Garofalo, R. Cosio, R. Ruocco, F. Chietera e N. Zampieri; la parte ricorrente F. Russo, assistita dall’avv. P. Esposito (C‑63/13); le parti ricorrenti C. Napolitano, S. Perrella e G. Romano, assistite dagli avv.ti D. Balbi e A. Coppola, nonché D. Cittadino e G. Zangari, assistite da T. de Grandis e E. Squillaci (C‑418/13); la intervenuta Federazione Gilda-Unams, assistita dall’avv. T. de Grandis, la intervenuta Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC CGIL), assistita dagli avv.ti V. Angiolini, F. Americo e I. Barsanti Mauceri, la intervenuta Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), assistita dall’avv. A. Andreoni (C‑62/13); la parte resistente Comune di Napoli, assistito da F.M. Ferrari e R. Squeglia (C‑63/13); il governo italiano, assistito dagli avvocati dello Stato C. Gerardis (osservazioni scritte) e S. Varone (trattazione orale); il governo ellenico, assistito dagli agenti D. Tsagaraki e M. Tassopoulou (C‑418/13); il governo polacco, assistito dall’agente da B. Majczyna (C‑22/13 e da C‑61/13 a C‑63/13); la Commissione europea, assistita dagli agenti C. Cattabriga, D. Martin e J. Enegren. Le cause pregiudiziali C-22/13, 61/13, C-62/13 e C-63/13 sono state promosse tutte dal Tribunale di Napoli (Est. Coppola). La causa pregiudiziale C-418/13 è stata promossa dalla Corte costituzionale con ordinanza n.207/13 del 3-18 luglio 2013.
[7] Trib. Trento (Est. Flaim), ordinanze nn. 283-284/2011 e 31-32-91-130/2012 Reg.Ord.
[8] La legge della Provincia autonoma di Trento n.5/2006 all’art.93, commi 1-3, recante “Disposizioni in materia di incarichi a tempo determinato e di supplenze temporanee”, così dispone: «1. Per garantire la continuità didattica e il regolare avvio dell’anno scolastico, ferma restando la disciplina in materia di assunzioni a tempo indeterminato e nei limiti della spesa massima prevista dall’articolo 85, la Provincia o le istituzioni scolastiche possono stipulare, mediante l’utilizzo rispettivamente delle graduatorie provinciali per titoli o delle graduatorie d’istituto, contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura delle cattedre e dei posti d’insegnamento effettivamente vacanti e disponibili o disponibili e non vacanti, secondo quanto previsto dai commi 2 e 3 e secondo le modalità definite con regolamento. Le graduatorie d’istituto devono essere articolate in fasce, in relazione ai titoli e alle abilitazioni e hanno durata triennale. 1 bis. La Giunta provinciale stabilisce i titoli valutabili ai fini della formazione delle graduatorie d’istituto, tenendo conto anche dell’insegnamento effettivamente prestato con continuità da docenti nelle scuole provinciali a carattere statale di ogni ordine e grado e per periodi non inferiori a tre anni, stabilendo i casi in cui il servizio è prestato con continuità. 2. Per la copertura delle cattedre e dei posti d’insegnamento il dirigente del servizio provinciale competente stipula contratti di lavoro a tempo determinato di durata annuale, rinnovabili per un massimo di due anni qualora risultino disponibili la medesima cattedra o posto; per la copertura delle cattedre o dei posti d’insegnamento disponibili, inoltre, può stipulare contratti di lavoro a tempo determinato di durata massima triennale. 3. Fatto salvo quanto diversamente previsto dal regolamento, dopo l’espletamento da parte della Provincia delle procedure di cui al comma 2, il dirigente dell’istituzione scolastica può stipulare contratti di lavoro a tempo determinato di durata massima annuale, aventi decorrenza non anteriore alla data di inizio delle lezioni, per la copertura dei posti non coperti con le predette procedure.».
[9] L’art.2, comma 6, della legge n.508/1999 così dispone: «6. Il rapporto di lavoro del personale delle istituzioni di cui all’articolo 1 é regolato contrattualmente ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, nell’ambito di apposito comparto articolato in due distinte aree di contrattazione, rispettivamente per il personale docente e non docente. Limitatamente alla copertura dei posti in organico che si rendono disponibili si fa ricorso alle graduatorie nazionali previste dall’articolo 270, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dall’articolo 3, comma 1, della legge 3 maggio 1999, n. 124, le quali, integrate in prima applicazione a norma del citato articolo 3, comma 2, sono trasformate in graduatorie ad esaurimento. Per le esigenze didattiche derivanti dalla presente legge cui non si possa far fronte nell’ambito delle dotazioni organiche, si provvede esclusivamente mediante l’attribuzione di incarichi di insegnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili, anche ove temporaneamente conferiti a personale incluso nelle predette graduatorie nazionali. Dopo l’esaurimento di tali graduatorie, gli incarichi di insegnamento sono attribuiti con contratti di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili. I predetti incarichi di insegnamento non sono comunque conferibili al personale in servizio di ruolo. Il personale docente e non docente, in servizio nelle istituzioni di cui all’articolo 1 alla data di entrata in vigore della presente legge con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e’ inquadrato presso di esse in appositi ruoli ad esaurimento, mantenendo le funzioni e il trattamento complessivo in godimento. Salvo quanto stabilito nel secondo e nel terzo periodo del presente comma, nei predetti ruoli ad esaurimento e’ altresi’ inquadrato il personale inserito nelle graduatorie nazionali sopraindicate, anche se assunto dopo la data di entrata in vigore della presente legge.».
[10] Corte cost., Pres. Ruperto, Est. Marini, ordinanza 14 giugno 2002, n.251; su cui cfr. V.De Michele, Le ordinanze pregiudiziali Ue della Corte costituzionale, della Cassazione e dei Tribunali di Aosta e Napoli sugli abusi permanenti del legislatore nella successione delle discipline che dovrebbero regolare i contratti a tempo determinato, su www.europeanrights.eu, 2013.
[11] Corte cost., Pres. Chieppa, Est. Marini, sentenza 27 marzo 2003, n.89; su cui cfr. E.A. Apicella, I nuovi orientamenti nella giurisdizione sulle controversie di lavoro pubblico, in Giorn.dir.amm., 2011, n.2, p.1363; E.M. Barbieri, Rapporto di pubblico impiego privatizzato e lavoro a termine, in Mass.giur.lav., 2003, n.6, p.445; P. Chieco, Contratti «flessibili» della p.a. e l’inapplicabilità della sanzione ordinaria della conversione: note critiche a margine della sentenza n. 89/2003 della Corte costituzionale, in Lav.pubbl.amm., 2003, n.0, p.489; V. De Michele, L’insostenibile leggerezza della conversione del contratto a termine nel lavoro pubblico, in Lav.giur., 2010, n.11, p.1108; Id., Retroattività delle norme e tutela dei diritti del precariato pubblico da parte dei Giudici nazionali, in Lav.giur., 2011, n.7, p.699; Id., Il Tribunale aquilano demolisce la sentenza antispread della Cassazione sul precariato scolastico, in Lav.giur., 2012, n.8, p.778; M.G. Greco, La disciplina del contratto a termine nel pubblico impiego supera il vaglio di costituzionalità, in Lav.pubbl.amm, 2003, n.0, p. 355; E. Menegatti, La persistente “specialità” del lavoro a termine nel pubblico impiego al vaglio della Corte costituzionale, in Giust.civ., 2004, n.12, I, p. 2901; L. Menghini, La conversione giudiziale dei rapporti precari con le p.a.: cadono molte barriere, in Lav.giur., 2011, n.12, p. 1239; D. Mezzacapo, Il contratto a termine nel lavoro pubblico: specialità, peculiarità e ambiguità, in Giur.it., 2004, n.0, p.20; R. Nobile, Il contratto di lavoro a tempo determinato negli enti locali in relazione al divieto di conversione a tempo indeterminato dopo la sentenza della Corte costituzionale 13 marzo 2003, n. 89, in www.lexitalia.it, 2003, n.0; F. Olivelli, La giurisdizione del giudice amministrativo in materia di lavoro e previdenza, in Lav.pubbl.amm., 2011, n.3, I, p.467; L. Olivieri, La conversione del rapporto di lavoro a termine è un aggiramento della Costituzione, in www.giustamm.it, 2003, n.0, II, p.543; D. Serra, Divieto di conversione dei contratti a termine nel settore pubblico, in Lav.giur., 2010, n.4, p.354; P. Siortino, Procedure concorsuali, violazione di legge, costituzione del rapporto di pubblico impiego, in Lav.giur., 2003, n.9, p.833.
[12] Corte cost., Pres. De Siervo, Est. Saulle, sentenza 9 febbraio 2011, n.41; su cui cfr. C. Colapietro, L’aggiornamento e l’integrazione delle graduatorie scolastiche provinciali del personale docente deve avvenire nel rispetto principio del merito, su Giur.cost., 2011, n.6, p.4689; C. Di Lello, Illegittima la disposizione sull’inserimento “in coda”, anzichè “a pettine”, nelle graduatorie scolastiche provinciali. La Corte costituzionale torna ancora una volta sul tema delle leggi di interpretazione autentica in caso di materia sub giudice, in Giur.it., 2012, n.8-9, p.1761; F. Olivelli, La giurisdizione del giudice amministrativo in materia di lavoro e previdenza, in Lav.pubb.amm., 2011, n.3, parte I, p. 467.
[13] Corte cost., Pres. Gallo, Est. Mattarella, sentenza 20 giugno 2013, n.146.
[14] Corte Cost., Pres. Cartabia, Est. Gallo, sentenza 11 dicembre 2015, n.260; su cui cfr. V. De Michele, Il giudice delle leggi nel dialogo con la Corte di giustizia e con la Cassazione: la sentenza n.260/2015 della Corte costituzionale sulla irretroattività e illegittimità anche costituzionale della legge che viola senza ragioni oggettive i diritti fondamentali garantiti anche dall’Unione europea (con uno sguardo anche alla n. 272/2015), su www.europeanrights.eu, 2016; Id., Le ragioni oggettive “retroattive” del contratto a termine nella sentenza n. 260/2015 della Corte costituzionale, in Lav.giur., 2016, n.2, p.151; L. Menghini, Fondazioni lirico sinfoniche e contratti di lavoro a termine: dalla Corte costituzionale soluzioni specifiche nette e rilevanti indicazioni di carattere generale, in corso di pubblicazione su Riv. giur. lav., 2016; A.M. Perrino, Nota a Corte cost., sent. n. 260/2015, in Foro it., 2016, n.1, I, p.1.
[15] La Corte di giustizia nella sentenza Mascolo ha così concluso: «la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.».
[16] Le questioni pregiudiziali “complessivamente” sollevate dal Tribunale di Napoli nelle cause C-22/13, C-61/13 e C-62/13 sono indicate al punto 35 della sentenza Mascolo: «1) Se il contesto normativo del settore scuola, come descritto, costituisca misura equivalente ai sensi della clausola 5 della direttiva [1999/70]. 2) Quando debba ritenersi che un rapporto di lavoro sia alle dipendenze dello “Stato”, ai sensi della clausola 5 della direttiva [1999/70] ed in particolare anche dell’inciso “settori e/o categorie specifiche di lavoratori” e quindi sia atto a legittimare conseguenze differenti rispetto ai rapporti di lavoro privati. 3) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all’articolo 3, [paragrafo] 1, lettera c), della direttiva 2000/78/CE [del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16)] ed all’articolo 14, [paragrafo] 1, lettera c), della direttiva 2006/54/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23)], nella nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola 4 della direttiva [1999/70] siano comprese anche le conseguenze dell’illegittima interruzione del rapporto di lavoro; [i]n ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversità tra le conseguenze ordinariamente previste nell’ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4 [della direttiva 1999/70]. 4) Se, in forza del principio di leale cooperazione, ad uno Stato sia vietato rappresentare in un procedimento pregiudiziale interpretativo alla Corte (…) un quadro normativo interno volutamente non corrispondente al vero ed il giudice sia obbligato, in assenza di una diversa interpretazione del diritto interno ugualmente satisfattiva degli obblighi derivanti dalla appartenenza alla Unione europea, ad interpretare, ove possibile, il diritto interno conformemente alla interpretazione offerta dallo Stato. 5) Se nelle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro previste dalla direttiva [91/533] e segnatamente dall’articolo 2, [paragrafi] 1 e 2, [lettera] e), rientri la indicazione delle ipotesi in cui il contratto di lavoro a termine si può trasformare in contratto a tempo indeterminato. 6) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede se una modifica con efficacia retroattiva del quadro normativo tale che non garantisca al lavoratore subordinato la possibilità di far valere i suoi diritti derivanti dalla direttiva [91/533], ovvero il rispetto delle condizioni di lavoro indicate nel documento di assunzione, sia contrari[a] all’articolo 8, [paragrafo] 1, della direttiva [91/533] ed alle finalità di cui alla [stessa] ed in particolare al 2° “considerando”. 7) Se i principi generali del vigente diritto [dell’Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, [del diritto] a un tribunale indipendente e, più in generale, a un equo processo, garantiti dall’[articolo 6 TUE] (…) – in combinato disposto con l’articolo 6 della [CEDU], e con gli artt. 46, 47 e 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (…) – debbano essere interpretati nel senso di ostare, nell’ambito di applicazione della direttiva [1999/70], all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (3 anni e sei mesi), di una disposizione normativa, quale l’articolo 9 del decreto legge n. 70[/2011] convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, [che] ha aggiunto il comma 4-bis all’articolo 10 del [decreto legislativo n. 368/2001] – atta ad alterare le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro – [S]tato ed eliminando la possibilità conferita dall’[o]rdinamento interno di sanzionare l’abusiva reiterazione di contratti a termine».
[17] Cass., SS.UU., Pres. Rovelli, Est. Amoroso, sentenza 15 marzo 2016, n.5072; su cui cfr. P. Coppola, Corte di cassazione, Ss.Uu., sentenza n.5072/2016. Incertezze, dubbi, perplessità, su www.europeanrights.eu, 1 maggio 2016; S. Galleano, La sentenza 5072/2016 sul risarcimento del danno per abuso del precariato nel settore pubblico – Le Sezioni unite della Cassazione nel paese delle meraviglie del 2 maggio 2016, in www.studiogalleano.it; M. Miscione, Nomofilachia, Sezioni Unite, “diritto vivente (leggendo la relazione 2016 del Primo Presidente della Cassazione), su Lav.giur., 2016, IV, 329-332; A. Paolitto, Il precariato scolastico tra “la buona scuola” e il dialogo “multilevel” delle Corti: l’occasione per un bilancio, op. cit.; F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario anche alla luce della sentenza n. 187/2016 della Corte costituzionale sul precariato scolastico, op. cit.
[18] Corte giust. Ue, VI Sez., ordinanza 12 dicembre 2013, in causa C-50/13, Papalia contro Comune di Aosta, su Foro it., 2014, IV, 91, con nota di A.M. Perrino, La Corte di giustizia come panacea dei precari?. Sull’ordinanza Papalia v. Ales, Contratti a termine e pubbliche amministrazioni: quousque tandem, in Riv.it.dir.lav., 2014, II, 86 ss.; B. Cimino, Restano incerte le prospettive del precariato pubblico dopo l’ordinanza Papalia della Corte di giustizia, in Lav.pubbl.amm., 2014, II, 1033 ss.; V. De Michele, La sentenza “integrata” Carratù-Papalia della Corte di giustizia sulla tutela effettiva dei lavoratori pubblici precari, in Lav.giur., 2014, 241 ss.; R. Nunin, Impiego pubblico, violazione delle regole sul contratto a termine e adeguatezza delle sanzioni: spunti recenti dalla Corte di giustizia, in Riv.giur.lav., 2014, II, 124 ss. Nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del 30 gennaio 2013 il Tribunale di Aosta (Est. Gramola) ha formulato il seguente quesito: «Se la direttiva 1999/70/CE (articolo 1 nonché clausola 5 dell’allegato accordo quadro, oltre ad ogni altra norma comunque connessa o collegata), debba essere intesa nel senso di consentire che il lavoratore assunto da un ente pubblico con contratto a tempo determinato in assenza dei presupposti dettati dalla normativa comunitaria predetta, abbia diritto al risarcimento del danno soltanto se ne provi la concreta effettività, e cioè nei limiti in cui fornisca una positiva prova, anche indiziaria, ma comunque precisa, di aver dovuto rinunziare ad altre, migliori occasioni di lavoro».
[19] La Corte di giustizia nell’ordinanza Papalia ha così concluso: «L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione. Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.».
[20] Corte giust. CE, Grande Sez., sentenza 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C-9/90 Andrea Francovich e Danila Bonifici e altri contro Repubblica Italiana.
[21] Corte giust. CE, Grande Sez., sentenza 15 aprile 2008, causa C-268/06 Impact; su cui cfr. V. De Michele, Contratto a termine e precariato, cit., p.88-92; C. O’Mara, Réglementation sur le recours aux contrats de travail à durée déterminée, Europe 2008 Juin Comm. nº 190 p.21; L. Driguez, Nederlandse jurisprudentie, Uitspraken in burgerlijke en strafzaken, 2008, nº 390; M.R. Mok, Epitheorisis Ergatikou Dikaiou, 2008 p.801-822; D. Dermitzaki, Impact v Minister for Agriculture and Food & Others (Case C-268/06), Grand Chamber, April 15, 2008, Irish Employment Law Journal, 2008, vol.8 n.3, p.99-100; K. Turner, Verpflichtung nationaler Gerichte zur rückwirkenden Anwendung einer Richtlinie auf den Zeitpunkt des Ablaufs der Frist zur Umsetzung der Richtlinie, wenn das nationale Recht die Rückwirkung ermöglicht, European Law Reporter, 2009, p. 9-15; C. Schweighofer, Die Befristung von Arbeitsverträgen in der Rechtsprechung des EuGH, Zeitschrift für europäisches Sozial- und Arbeitsrecht, 2009, p.5-13; S. De Groot e C. Evke – Rolfs, Die Grundlage richtlinienkonformer Rechtsfortbildung im Zivilrecht, Europäisches Wirtschafts- & Steuerrecht – EWS, 2009, p.358-363; C. Sperber, Unmittelbare Anwendbarkeit und inhaltliche Reichweite der Richtlinie über befristete Arbeitsverträge, Europäische Zeitschrift für Arbeitsrecht, 2009, p.534-546.
[22] Corte giust. CE, III Sez., sentenza 23 aprile 2009, in cause riunite da C-378/07 e C-380/07 Angelidaki ed altri contro Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis; su cui cfr. V. De Michele, Contratto a termine e precariato, cit., p.75-81; M. Miscione, La Corte di giustizia sul contratto a termine e la clausola di non regresso, in Lav. giur., 2009, p. 437; L.Driguez, Retour sur les clauses de non régression, in Europe 2009, Juin, Comm. nº 235, p.25-26; C.Kerwer, Verschlechterungsverbote in Richtlinien, in Europäische Zeitschrift für Arbeitsrecht, 2010, p.253-265.
[23] FEK A’ 134/19.7.2004, Recante disposizioni riguardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato nel settore pubblico.
[24] I PAS sono dei percorsi di formazione per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, rivolti ai docenti della scuola con contratto a tempo determinato che hanno prestato servizio per almeno tre anni nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie. Sono disciplinati dall’art. 2, c. 416, della l. n. 247/2007 e dal conseguente Regolamento approvato con d.m. 10 settembre 2010, n. 249.
[25] Il tirocinio formativo attivo (TFA) è un corso di preparazione finalizzato all’abilitazione all’insegnamento nelle scuole secondarie italiane. È stato introdotto dal citato d.m. n. 249/2010 e modificato dal d.m. 25 marzo 2013, n.81, e costituisce il superamento delle scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (SSIS).
[26] Corte giust. CE, II Sez., sentenza 12 maggio 2005, causa C-278/03 Commissione contro Repubblica italiana; su cui cfr. V. De Michele, Retroattività delle norme e tutela dei diritti del precariato pubblico da parte dei Giudici nazionali, in Lav.giur., 2011, n.7, 701.
[27] Corte giust. CE, II Sez., sentenza 26 ottobre 2006, causa C-371/04 Commissione contro Repubblica italiana; su cui cfr. M. De Luca, Privato e pubblico nei rapporti di lavoro privatizzati, in Atti del Convegno nazionale del Centro studi “D. Napoletano” del 9-10 marzo 2007 all’Unical di Arcavacata di Rende, in Lav. prev. oggi, Supplemento n. 6, 2008, 261, che sottolineava testualmente: «La prospettata compatibilità condizionata – tra garanzia del principio costituzionale del pubblico concorso (art. 97, comma 3, Cost.), appunto, e ordinamento comunitario risulta gerarchicamente sovraordinato rispetto alle fonti – anche costituzionali – degli ordinamenti nazionali degli Stati membri, fatta esclusione per i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona»; v. inoltre, su cui cfr. V. De Michele, Retroattività delle norme e tutela dei diritti del precariato pubblico da parte dei Giudici nazionali, op. cit., 703.
[28] Corte giust. CE, seduta plenaria, sentenza 9 settembre 2003, causa C-C-285/01 Burbaud contro l’École nationale de la santé publique.
[29] Corte giust., II Sezione, sentenze 7 settembre 2006, cause C-54/04 Marrosu-Sardino e C-180/04 Sardino contro Azienda Ospedaliera S.Martino di Genova; su cui cfr. A.Miscione, Il contratto a termine davanti alla Corte di giustizia: legittimità comunitaria del d.lg. n. 368 del 2001, in Arg. dir. lav., 2006, 6, 1639; L.Nannipieri, La Corte di giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5, d. lgs. n. 368/2001 e 36, d. lgs. n. 165/2001, su Riv.it.dir.lav., 2006, II, p.742-764; L.Zappalà, Abuse of Fixed-Term Employment Contracts and Sanctions in the Recent ECJ’s Jurisprudence, Giorn.rel.ind., 2006, p.439-444; G.Franza, Lavoro a termine: è ormai completa l’interpretazione della direttiva, Mass.giur.lav., 2006, p.752-755; A.M.Perrino, Perplessità in tema di contratto di lavoro a termine del pubblico dipendente, su Foro it, 2007, IV, Col.75-81; L. De Angelis, Il contratto di lavoro a termine nelle pubbliche amministrazioni alla luce della giurisprudenza comunitaria: spunti di riflessione, su Foro it., 2007, IV, Col.344-348; V. De Michele, Contratto a termine e precariato, 2009, Milano, Ipsoa, p.173-177; S.Sciarra, Il lavoro a tempo determinato nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Un tassello nella “modernizzazione” del diritto del lavoro, relazione su Il giudice del lavoro e le fonti comunitarie ed internazionali, Roma, 17 gennaio 2008, Incontro di studio CSM, p. 12-16.
[30] Le conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston sono state depositate il 1° giugno 2006, e causticamente precisano sul rispetto del principio del concorso pubblico da parte delle pubbliche amministrazioni italiane, ai punti 21 – 30 e 35: «21. Nei ricorsi per inadempimento solitamente lo Stato membro interessato fornisce alla Corte informazioni comprensibili sulla sua normativa rilevante. Nella causa in esame, la situazione in Italia non era interamente chiara neppure dopo l’udienza. 22. Per quanto concerne le persone che hanno acquisito la precedente esperienza nel settore pubblico di un altro Stato membro mentre erano legate da un contratto con un ente come il COASCIT, l’Italia insiste nell’affermare di non essere tenuta a riconoscere tale esperienza. Quanto alle persone che hanno acquisito la loro esperienza quando erano impiegate direttamente nel settore pubblico di un altro Stato membro dopo essere state assunte secondo le disposizioni locali in materia di assunzione nel settore pubblico, la loro posizione giuridica non è stata pienamente chiarita. Per un verso, in udienza l’Italia ha affermato che, ai sensi di una legge approvata nel 2004, tali persone non saranno più trattate diversamente (il che, di per sé, sembra confermare che precedentemente lo erano). Per l’altro verso, la sua precedente affermazione (sempre all’udienza) secondo cui essa non ha «prima facie escluso la possibilità di tener conto dell’impiego» in Francia è poco incoraggiante. 23. È palesemente insoddisfacente per la Corte essere informata in modo così inadeguato in questa fase del procedimento…… 25. Il rifiuto da parte di uno Stato membro di riconoscere l’attività lavorativa prestata nel settore pubblico di un altro Stato membro tende palesemente ad essere applicato più ai lavoratori migranti che a quelli nazionali. L’unica questione che rimane da decidere è quindi se tale divieto sia giustificato. 26. Sebbene l’Italia non sollevi esplicitamente tale punto come una giustificazione (dato che non ammette – neppure in subordine – di aver violato i suoi obblighi), essa fa riferimento, in particolare, all’importanza di garantire che l’esperienza pregressa nel settore pubblico di un altro Stato membro sia riconosciuta solamente ove la persona interessata sia stata assunta dopo aver superato un concorso pubblico…. 27. Ritengo che tale fattore non costituisca una giustificazione accettabile per una discriminazione. 28. In linea di massima, non tutti gli Stati membri assumono il personale per tutti gli impieghi pubblici mediante concorso pubblico. In tale contesto, è possibile evitare una discriminazione solo se si tiene adeguatamente conto dei periodi di impiego nel settore pubblico di un altro Stato membro da parte di una persona assunta nel rispetto dei requisiti prescritti in tale Stato (qualunque essi siano). 29. Più precisamente, anche se (come sembra nel caso COASCIT) una persona è occupata nel settore pubblico di un altro Stato membro in base a condizioni diverse da quelle che si applicherebbero altrimenti (ad esempio tramite un contratto con un ente esterno anziché previo superamento di un concorso pubblico), il rifiuto assoluto di prendere minimamente in considerazione la relativa esperienza lavorativa può significare solo che l’Italia ritiene che l’esperienza maturata nel settore pubblico di un altro Stato membro prima del superamento di un concorso pubblico per un posto nel pubblico impiego italiano non possa avere alcuna rilevanza nei confronti dell’impiego successivo. Non vedo come tale impostazione possa costituire una giustificazione valida per un trattamento discriminatorio. 30. In cause precedenti, i tentativi degli Stati membri di invocare analoghe differenze tra la loro «cultura» e quella di un altro Stato membro non hanno avuto successo. 35. Non vedo il motivo per non seguire la stessa logica anche nei confronti del rifiuto assoluto dell’Italia, in questa causa, di prendere in considerazione l’esperienza acquisita lavorando nel settore pubblico di altri Stati membri da una persona che non ha superato un concorso pubblico che la renda idonea a lavorare in tale settore.».
[31] Corte giust. UE, Sez. II, sentenza 22 dicembre 2010, in cause riunite C-444/09 Gavieiro Gavieiro e C-459/09 Iglesias Torre, su cui cfr. V. De Michele, La giurisprudenza della Corte di Giustizia nel 2010 e l’interpretazione “infinita” sul contratto a termine, op.cit., 781; L. Driguez, Contrat de travail à durée déterminée et égalité de traitement, in Europe, 2011, 2, 43-44; E. Jeansen, Égalité de traitement des salariés embauchés pour une durée déterminée, in SJS, 2011, 13, 38 ss.; P. Sardina Cámara, La primacía del derecho comunitario versus el criterio temporal contenido en el art. 25.2 del Estatuto Básico del Empleado Público. A propósito de la STJUE de 22 diciembre de 2010, in Diario La ley, 2011, 7619, 1-3; F. Siotto, Parità di trattamento per i lavoratori a tempo determinato: il principio di non discriminazione impone il diritto all’indennità per anzianità di servizio, in Riv.it.dir.lav., 2011, II, 1294 ss.. Così conclude al punto 5 la sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres sul potere di disapplicare la norma interna retroattiva in contrasto con il diritto dell’Unione: «Nonostante l’esistenza, nella normativa nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70, di una disposizione che, pur riconoscendo il diritto dei dipendenti pubblici temporanei al versamento delle indennità per trienni di anzianità, esclude tuttavia l’applicazione retroattiva di tale diritto, le autorità competenti dello Stato membro interessato hanno l’obbligo, in forza del diritto dell’Unione, e nel caso di una disposizione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70, avente effetto diretto, di attribuire al citato diritto al versamento delle indennità un effetto retroattivo a decorrere dalla data di scadenza del termine impartito agli Stati membri per la trasposizione di tale direttiva».
[32] Corte di giustizia Ue, VI Sezione, sentenza 18 ottobre 2012, in cause riunite da C-302/11 a C-305/11 Valenza ed altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Consiglio di Stato (Pres. Coraggio, Est. De Nictolis), presieduto dall’Estensore della sentenza n.187/2016 della Corte costituzionale. Sulla sentenza Valenza cfr. A. De Stefano, Una email per una breve riflessione: Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa cosa? (Corte di giustizia, Sesta Sezione, sentenza 18 ottobre 2012, nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11), su Rass.Avv.Stato, 4, pp. 33-34, in cui l’Autore precisa: «Secondo la Corte di Giustizia U.E., non avrebbe nessun rilievo il fatto che il personale a tempo indeterminato (a differenza di quello a tempo determinato) fosse stato assunto con regolare concorso, perché la legge di stabilizzazione ha comunque equiparato il personale appartenente alle due categorie; inoltre, la diversità di trattamento non potrebbe essere giustificata in base al diverso status delle due categorie di personale, ma solo dall’analisi oggettiva delle mansioni di fatto esercitate dai dipendenti che ad esse afferiscono; infine, la Corte non ritiene necessaria nessuna indagine sui profili inerenti alla legittimità del termine apposto ai singoli contratti a tempo determinato. Mi sembra che l’iter argomentativo contenga queste premesse implicite e conduca alle seguenti conseguenze: a) il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono sostanzialmente la stessa cosa; b) le regole del concorso pubblico possono essere ordinariamente alterate da una scelta legislativa che trasformi i rapporti precari in rapporti di ruolo; c) nel caso di trasformazione di un rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, la ricongiunzione dei servizi prestati ed il riconoscimento dell’anzianità pregressa spettano in ogni caso, a prescindere dalla legittimità o dall’illegittimità dell’apposizione del termine; d) i dipendenti a tempo determinato “stabilizzati” non ricevono un gratuito beneficio, ma sono piuttosto discriminati, nel caso in cui non conseguano anche il riconoscimento dell’anzianità pregressa. Si tratta di verità alle quali bisogna adeguarsi; ma personalmente continuo a nutrire qualche dubbio sulla loro fondatezza.».
[33] Corte cost., Pres. Grossi, Est. Amato, sentenza 20 luglio 2016, n.192.
[34] Corte giust. CE, Grande Sez., sentenza 4 luglio 2006, causa C-212/04 Konstantinos Adeneler et al. c. Ellinikos Organismos Galaktos (ELOG). Sulla sentenza Adeneler v. L. De Angelis, Il contratto di lavoro a termine nelle Pubbliche Amministrazioni alla luce della giurisprudenza comunitaria: spunti di riflessione, in Foro it, 2007, IV, 344 ss.; V. De Michele, Contratto a termine e precariato, op. cit., 48-70; G. Franza, Lavoro a termine: è ormai completa l’interpretazione della direttiva, in Mass.giur.lav., 2006, 752 ss.; L. Menghini, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giustizia, in Riv.giur.lav., 2006, I, 698 ss.; L. Montuschi, Il contratto a termine e la liberalizzazione negata, in Dir.Rel.Ind., 2006, 610 ss.; L. Nannipieri, La Corte di giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5, d. lgs. n. 368/2001 e 36, d.lgs. n. 165/2001, in Riv.it.dir.lav., 2006, II, 742 ss.; A.M. Perrino, Perplessità in tema di contratto di lavoro a termine del pubblico dipendente, in Foro it, 2007, IV, 75 ss.; G. Sottile, Sanzioni per il contratto a termine nel lavoro pubblico e Corte di Giustizia Europea, in Dir.lav.merc., 2007, 131 ss.; L. Zappalà, Abuse of Fixed-Term Employment Contracts and Sanctions in the Recent ECJ’s Jurisprudence, Ind. Law. Journal, 2006, 439 ss..
[35] V. le allegate Schede di lettura n.286 del 1° aprile 2015 per l’esame del progetto di legge A.C. 2994 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, approvato con la legge n.107/2013, commento all’art.12, pagg. 70-74.
[36] Cfr. Cassazione, S.L., sentenza 20 giugno 2012, n.10127, su Lav.giur., n.8-9, 2012, p.777 ss., con nota critica di V. De Michele, Il tribunale aquilano demolisce la sentenza antispread della Cassazione sul precariato scolastico, e con giudizio negativo di L. Menghini, La conversione giudiziale….., op.cit., nonché di F. Buffa, Il precariato scolastico e la tutela dei diritti nella disciplina e giurisprudenza comunitaria e nazionale, tra esigenze di specialità e principio di eguaglianza, Relazione n.190 del 24 ottobre 2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione. Le argomentazioni della sentenza della Suprema Corte sono state invece condivise da L. Fiorillo, I conferimenti degli incarichi di supplenza nella scuola pubblica al vaglio della Cassazione: una normativa speciale in linea con la normativa europea sul contratto a termine, in Riv.it.dir.lav., 2012, II, 883 ss., nonché da A. Vallebona,, I precari della scuola: una babele da arrestare, Mass.giur.lav., 2012, 305 ss. Sulla problematica del reclutamento scolastico e dei contratti successivi del personale docente supplente, v. A. Allamprese, I precari della scuola tra diritto interno e diritto dell’Unione europea, su Lav.pubbl.amm, 2011, 2, 254-271.
[37] M. Miscione, La fine del precariato pubblico ma non solo per la scuola pubblica, op.cit., 746.
[38] Corte giust., VIII Sez., ordinanza 1 ottobre 2010, causa C-3/10 Affatato c. ASL Cosenza; su cui cfr.. V. De Michele, La giurisprudenza della Corte di Giustizia nel 2010 e l’interpretazione “infinita” sul contratto a termine, in R.Foglia e R.Cosio (a cura di), Il diritto del lavoro dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, p.459 ss.; W.Ferrante, Il divieto di conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine nel pubblico impiego, in Rass.Avv.Stato, 2011, 2, I, p.12; A.M.Perrino, Nota a ordinanza Affatato della Corte di giustizia, su Foro it., 2011, IV, 69; N.Zampieri, Il rapporto di lavoro a termine, la sentenza Affatato e il Collegato lavoro in Ris.um., 2011, 1, p.138 ss.
[39] V. osservazioni scritte del Governo italiano nella causa Affatato C-3/10, punto 60, in Rass.Avv. Stato, n.2, aprile-giugno 2010, pagg.126-127.
[40] Cfr. A.M. Perrino, Nota a ordinanza Affatato della Corte di giustizia, cit., 69.
[41] Corte di giustizia Ue, II Sezione, sentenza 26 gennaio 2012, in causa C-586/10 Kücük contro Land Nordrhein Westfalen. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dalla Cassazione federale del lavoro tedesca. Sulla sentenza Kücük v. il fondamentale commento di L. Menghini, La conversione giudiziale dei reiterati contratti a termine con la p.a. e le supplenze scolastiche: diritto interno e diritto europeo, Riv.giur.lav., 2012, pp.699-719. Anche la dottrina francese sottolinea i possibili rischi di “illegittimità” comunitaria della normativa sui contratti successivi nell’ordinamento nazionale alla luce della sentenza Kücük: v. J-Lhernould, L’actualité de la jurisprudence européenne et internationale. Encadrement du recours à des CDD successifs : la jurisprudence française est-elle menacée?, in Revue de jurisprudence sociale, 2012, p.263-264. E’ abbastanza singolare, per contro, che la dottrina tedesca, forse trascurando le conclusioni dell’Avvocato generale Jääskinen nella causa Jansen, fornisca, con una certa sorpresa e con qualche nota critica, una lettura della sentenza della Corte di giustizia nel senso di legittimazione dell’”abuso” di contratti successivi a “catena”: v. G. Meinel, EuGH zu Kettenbefristungen – Rettung vor dem BAG, in Der Betrieb, 2012, n. 5, p.M1.
[42] Così conclude la Commissione Ue nelle osservazioni scritte della causa Papalia C-50/13: «L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999 n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che si oppone ad un regime nazionale che subordini a condizioni di prova discriminatorie rispetto ad altre analoghe fattispecie di diritto interno o, comunque, eccessivamente onerose il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine tramite il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato, ove il risarcimento del danno sia la sola misura prevista dall’ordinamento interno per prevenire e reprimere tale abuso. Spetta al giudice nazionale verificare se tali condizioni ricorrano nel caso di specie.».
[43] La Corte di giustizia nella sentenza Mascolo al punto 14 così precisa la posizione della Corte costituzionale e del Tribunale di Napoli sulla normativa interna applicabile: «Secondo le ordinanze di rinvio, il lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione è altresì soggetto al decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235, del 9 ottobre 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 368/2001»).».
[44] Cfr. F. Putaturo Donati, PA e contratti illegittimi: note critiche sul riconoscimento del danno (extra)comunitario anche alla luce della sentenza n. 187/2016 della Corte costituzionale sul precariato scolastico, op.cit.
[45] Corte cost., Pres. Elia, Est. Roehrseen, sentenza 7 aprile 1983, n.81.
[46] Corte cost., Pres. Casavola, Est. Baldassarre, sentenza 27 maggio 1993, n.266.
[47] La Corte di giustizia al punto 89 della sentenza Mascolo così descrive il sistema di reclutamento scolastico nazionale: «Nel caso di specie si deve, in via preliminare, rilevare che dalle ordinanze di rinvio e dalle spiegazioni fornite in udienza risulta che, in forza della normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, come prevista dalla legge n. 124/1999, l’assunzione di personale nelle scuole statali ha luogo sia a tempo indeterminato tramite l’immissione in ruolo sia a tempo determinato mediante lo svolgimento di supplenze. L’immissione in ruolo si effettua secondo il sistema cosiddetto «del doppio canale», ossia, quanto alla metà dei posti vacanti per anno scolastico, mediante concorsi per titoli ed esami e, quanto all’altra metà, attingendo alle graduatorie permanenti, nelle quali figurano i docenti che hanno vinto un siffatto concorso senza tuttavia ottenere un posto di ruolo, e quelli che hanno seguito corsi di abilitazione tenuti dalle scuole di specializzazione per l’insegnamento. Si è fatto ricorso alle supplenze attingendo alle medesime graduatorie: la successione delle supplenze da parte di uno stesso docente ne comporta l’avanzamento in graduatoria e può condurlo all’immissione in ruolo.»
[48] Sul punto si rimanda a V. De Michele, L’interpretazione “autentica” della sentenza Mascolo-Fiamingo della Corte di giustizia UE sulla tutela “energica” del lavoro flessibile alle dipendenze di datori di lavoro pubblici e privati, op.cit.
[49] Cfr. per tutte, Cass., S.L., sentenza 5 settembre 2016, n. 17596.
[50] La Cassazione al punto 21 della sentenza n.17596/2016 ha rigettato la questione pregiudiziale proposta dal lavoratore ricorrente con la seguente motivazione: «Quanto alla richiesta di rinvio pregiudiziale, formulata in sede di note di replica alla requisitoria orale del P.G. all’udienza del 21 luglio, e relativa al contrasto con le clausole 4 n. 1 e 5 nn. 1 e 2 dell’Accordo Quadro sul Lavoro a tempo determinato CES-UNICE-CEE allegato alla direttiva 99/70/CE della “prassi” amministrativa seguita dal CSA di Foggia nell’elaborazione delle graduatorie provinciali ad esaurimento al momento dell’entrata in vigore della suddetta direttiva e del suo recepimento con il d.lgs. 368 del 2011, osserva il Collegio che il mancato riconoscimento dell’invocato “diritto di precedenza” non rileva sul piano del contrasto tra la normativa nazionale di cui alle pagine che precedono e le invocate clausole 4 e 5, posto che – quanto alla clausola 4 – essa afferma la non discriminazione tra contratto a tempo determinato e contratto a tempo indeterminato e – quanto alla clausola 5 ed alla applicazione al personale scolastico – non vi è che da far richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea di cui alla sentenza 26 novembre 2014 in causa C-22/13, Mascolo.».
[51] Questa l’istanza pregiudiziale UE ai sensi dell’art.267, comma 3, TUEF, sollevata dal ricorrente in sede di replica alle conclusioni del P.G. all’udienza del 21 luglio 2016 nella causa definita dalla Cassazione con la sentenza n. 17596/2016: «Se si pone in contrasto con le clausole 4, n.1, 5, nn.1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE la prassi amministrativa seguita dal Centro servizi amministrativi della Provincia di Foggia del Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca (MIUR), in base alla quale i collaboratori scolastici già inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento al momento dell’entrata in vigore della direttiva 1999/70/CE e del suo recepimento con il d.lgs. n.368/2001 non godono di alcun diritto di precedenza o clausola di salvaguardia della propria posizione in graduatoria, rispetto a soggetti che hanno maturato il diritto al nuovo inserimento nelle predette graduatorie, nonostante per questi ultimi il requisito di anzianità per il primo inserimento nelle graduatorie provinciali in base al D.M. n.201/2000 – con la maturazione del servizio minimo di trenta giorni come collaboratore scolastico anche presso Enti locali nel trienno precedente l’aggiornamento delle graduatorie e i nuovi inserimenti – sia rappresentato da servizio non svolto per il tramite delle graduatorie provinciali ad esaurimento e senza alcun controllo da parte della pubblica amministrazione scolastica.»
[52] L’art.6, comma 7, della legge n.124/1999 prevede testualmente: «7. Il regolamento di cui al comma 3 dell’articolo 401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell’articolo 1 della presente legge, stabilisce anche le modalità della prima integrazione delle graduatorie permanenti.».
[53] L’art.6, comma 6, della legge n. 124/1999 prevede testualmente: «6. Nella prima integrazione delle graduatorie permanenti di cui all’articolo 553 del testo unico, come sostiuito dal comma 3 del presente articolo, hanno titolo all’inclusione oltre al personale che chiede il trasferimento dalla corrispondente graduatoria di altra provincia: a) coloro che siano in possesso dei requisiti richiesti dalle norme previgenti per la partecipazione ai soppressi concorsi per soli titoli; b) coloro che abbiano superato le prove di un analogo precedente concorso per titoli ed esami e siano inseriti, alla data di entrata in vigore della presente legge, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo. Si prescinde da quest’ultimo requisito per il personale che abbia superato le prove dell’ultimo concorso per titoli ed esami bandito anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.».
[54] L’art.401, comma 3, D.Lgs. n.297/1994, in vigore dal 25 giugno 1999 al 5 giugno 2004, in quanto abrogato dall’art.1, comma 2, del D.L. n.97/2004, convertito con modificazioni dalla legge n.143/2004, disponeva testualmente: «3. Le operazioni di cui al comma 2 sono effettuate secondo modalità da definire con regolamento da adottare con decreto del Ministro della pubblica istruzione, secondo la procedura prevista dall’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto dei seguenti criteri: le procedure per l’aggiornamento e l’integrazione delle graduatorie permanenti sono improntate a principi di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa salvaguardando comunque le posizioni di coloro che sono già inclusi in graduatoria.». Inoltre, l’art.2, comma 3, del D.L. n.255/2001, convertito con modificazioni dalla legge n.333/2001, ha testualmente previsto: «3. L’articolo 401 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dall’articolo 1, comma 6, della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che l’integrazione e l’aggiornamento delle graduatorie si realizza sulla base del punteggio spettante a ciascun candidato con la salvaguardia, in posizione di parità, dell’anzianità di iscrizione in graduatoria.»
[55] L’art.6, comma 3, della legge n.124/1999 così testualmente prevede: «3. L’articolo 553 del testo unico é sostituito dal seguente: “Art. 553. – (Graduatorie permanenti). – 1. Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli dei responsabili amministrativi sono trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all’articolo 551, comma 4. 2. Le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l’inserimento di coloro che hanno superato le prove dell’ultimo concorso per titoli ed esami e di coloro che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all’inserimento dei nuovi aspiranti é effettuato l’aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono già compresi nella graduatoria permanente. 3. Le operazioni di cui al comma 2 sono effettuate secondo le modalità definite dal regolamento di cui al comma 3 dell’articolo 401. 4. La collocazione nella graduatoria permanente non costituisce elemento valutabile nei corrispondenti concorsi per titoli ed esami. 5. Le graduatorie permanenti sono utilizzabili soltanto dopo l’esaurimento delle corrispondenti graduatorie compilate ai sensi dell’articolo 17 del decreto-legge 3 maggio 1988, n. 140, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 1988, n. 246, e trasformate in graduatorie nazionali dall’articolo 8-bis del decreto-legge 6 agosto 1988, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 ottobre 1988, n. 426. 6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai responsabili amministrativi dei Conservatori di musica, delle Accademie di belle arti e delle Accademie nazionali di arte drammatica e di danza. 7. Ai fini dell’inserimento nelle graduatorie permanenti del personale di cui al comma 6, le graduatorie concorsuali previste dall’articolo 552, comma 5-bis, sono ripartite in graduatorie provinciali”.»
[56] Così precisa la Corte di giustizia ai punti 92-93 della sentenza Mascolo: «92 A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 31). 93 Tale conclusione si impone a maggior ragione allorché la normativa nazionale che giustifica il rinnovo di contratti a tempo determinato in caso di sostituzione temporanea persegue altresì obiettivi di politica sociale riconosciuti come legittimi. Infatti, come risulta dal punto 87 della presente sentenza, la nozione di «ragione obiettiva» che figura alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro comprende il perseguimento di siffatti obiettivi. Orbene, misure dirette, in particolare, a tutelare la gravidanza e la maternità nonché a consentire agli uomini e alle donne di conciliare i loro obblighi professionali e familiari perseguono obiettivi legittimi di politica sociale (v. sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 32 e 33 nonché giurisprudenza ivi citata).».
[57] A titolo meramente esemplificativo, il DDG n.82/2012 non ha indetto concorsi o non li indetti nell’ambito di tutte le Regioni per le seguente classi di concorso, bandite invece nel concorso 1999: Aerotecnica e costruzioni aeronautiche 1/A; Arte della fotografia 7/A; Arte della grafica e della incisione 8/A; Arte dei metalli e oreficeria 10/A; Chimica agraria 12/A; Chimica e tecnologie chimiche 13/A; Circolazione aerea, telecomunicazioni aeronautiche ed esercitazioni 14/A; Costruzioni, tecnologia delle costruzioni e disegno tecnico 16/A; Discipline geometriche, architettoniche, arredamento e scenotecnica 18/A; Discipline giuridiche ed economiche 19/A, limitatamente alle Regioni diverse da Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Sicilia e Toscana per le quali erano stati banditi nel 2012 concorsi a livello regionale per complessivi n.79 posti; Discipline meccaniche e tecnologia 20/A; Discipline pittoriche 21/A; Discipline plastiche 22/A; Disegno e storia del costume 24/A; Elettronica 34/A; Elettrotecnica ed applicazioni 35/A; Geografia 39/A; Informatica 42/A; Matematica applicata 48/A; Navigazione aerea ed esercitazioni 55/A; Navigazione, arte navale ed elementi di costruzioni navali 56/A; Scienza degli alimenti 57/A; Scienze e meccanica agraria e tecniche di gestione aziendale, fitopatologia ed entomologia agraria 58/A; Scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia 60/A; Storia dell’arte 61/A; Tecnica fotografica 65/A; Tecnologia ceramica 66/A; Tecnologie dell’abbigliamento 68/A; Tecnologie grafiche ed impianti grafici 69/A; Tecnologie tessili 70/A; Tecnologie e disegno tecnico 71/A; Topografia generale, costruzioni rurali e disegno 72/A.
[58] I dati sono riportati a pag. 16 delle Linee guida sulla “Buona Scuola” di fine agosto 2014.
[59] Sempre nelle Linee guida sulla “Buona scuola” di fine agosto 2014 così il Governo segnala il deposito il 17 luglio 2014 delle conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar nelle cause pregiudiziali sul precariato scolastico, a pag.34: «Recentemente, l’Avvocato generale incaricato di seguire e presentare il caso ai giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea che presto dovranno pronunciarsi, ha concluso che i giudici italiani dovranno verificare se il sistema attuale delle supplenze annuali sia fondato su giustificate esigenze. Il rilevato motivo di contrasto tra il sistema italiano e la direttiva sul lavoro a tempo determinato risiede nel fatto che il sistema delle supplenze annuali di fatto rinnova periodicamente dei contratti a tempo determinato per provvedere alla copertura di posti vacanti d’insegnamento. Tali rinnovi sono effettuati senza che però si abbia certezza sulla data di conclusione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo né si definiscano criteri obiettivi e trasparenti per verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale. Inoltre il sistema attuale non prevede alcuna misura per prevenire e sanzionare il ricorso abusivo alla successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore scolastico. Questa prospettiva è ciò che è oggi all’attenzione dell’Europa, e va nella stessa direzione di ciò che il Governo intende offrire alla scuola grazie ad un piano di assunzioni straordinario e ad un nuovo concorso che – insieme – diano una risposta alle aspettative non solo di quasi 200 mila aspiranti docenti di ruolo ma ad alcuni milioni di studenti, che si meritano docenti che, quando la mattina vanno a scuola, pensano non tanto a cosa succederà loro l’anno dopo, al successivo “walzer” di supplenze, o a come saranno posizionati in una qualche lista d’attesa, ma a come migliorare ciò che fanno ogni giorno in classe.».
[60] L’art.6, comma 3, DDL 2994 prevedeva espressamente che il personale della dotazione organica dell’autonomia è tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura dei posti vacanti e disponibili, oltre alla sostituzione dei docenti assenti per la copertura delle supplenze temporanee fino a dieci giorni. Nel testo del DDL 2994 non si richiamano le supplenze fino al termine delle attività didattiche e l’organico dell’autonomia costituisce il naturale bacino per le supplenze utilizzando personale assunto a tempo indeterminato, come già previsto con le dotazioni organiche aggiuntive disciplinate dall’art.13 della legge n.270/1982, tutt’ora vigente.
[61] Il testo della legge n.107/2015 è stato ripubblicato sul supplemento ordinario n.44 alla Gazzetta ufficiale – serie generale n. 175 del 30 luglio 2015, corredato dalle note redatte dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai sensi dell’art. 10, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, al fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali è operato il rinvio. In corrispondenza degli artt.99-101 c’è la nota esplicativa “Modalità di assunzione e assegnazione della sede”, senza alcuna indicazione della natura provvisoria della assegnazione.
[62] L’art.1, comma 108, della legge n.107/2015, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dall’art.1-bis D.L. n.42/2016 dal titolo “Disposizioni in materia di assegnazioni provvisorie”, convertito dalla legge n.89/2016, in vigore dal 16 luglio 2015 al 28 maggio 2016, così disponeva: «108. Per l’anno scolastico 2016/2017 é avviato un piano straordinario di mobilità territoriale e professionale su tutti i posti vacanti dell’organico dell’autonomia, rivolto ai docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno scolastico 2014/2015. Tale personale partecipa, a domanda, alla mobilità per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia, di cui all’articolo 399, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, per tutti i posti vacanti e disponibili inclusi quelli assegnati in via provvisoria nell’anno scolastico 2015/2016 ai soggetti di cui al comma 96, lettera b), assunti ai sensi del comma 98, lettere b) e c). Successivamente, i docenti di cui al comma 96, lettera b), assunti a tempo indeterminato a seguito del piano straordinario di assunzioni ai sensi del comma 98, lettere b) e c), e assegnati su sede provvisoria per l’anno scolastico 2015/2016, partecipano per l’anno scolastico 2016/2017 alle operazioni di mobilità su tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, ai fini dell’attribuzione dell’incarico triennale. Limitatamente all’anno scolastico 2015/2016, i docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno scolastico 2014/2015, anche in deroga al vincolo triennale sopra citato, possono richiedere l’assegnazione provvisoria interprovinciale. Tale assegnazione può essere disposta dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel limite dei posti di organico dell’autonomia disponibili e autorizzati.».
[63] L’art.1, comma 108, della legge n.107/2015, nel testo modificato dall’art.1-bis D.L. n.42/2016 dal titolo “Disposizioni in materia di assegnazioni provvisorie”, introdotto in sede di conversione dalla legge n.89/2016 con decorrenza dal 29 maggio 2016, così dispone: «108. Per l’anno scolastico 2016/2017 é avviato un piano straordinario di mobilità territoriale e professionale su tutti i posti vacanti dell’organico dell’autonomia, rivolto ai docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno scolastico 2014/2015. Tale personale partecipa, a domanda, alla mobilità per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia, di cui all’articolo 399, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, per tutti i posti vacanti e disponibili inclusi quelli assegnati in via provvisoria nell’anno scolastico 2015/2016 ai soggetti di cui al comma 96, lettera b), assunti ai sensi del comma 98, lettere b) e c). Successivamente, i docenti di cui al comma 96, lettera b), assunti a tempo indeterminato a seguito del piano straordinario di assunzioni ai sensi del comma 98, lettere b) e c), e assegnati su sede provvisoria per l’anno scolastico 2015/2016, partecipano per l’anno scolastico 2016/2017 alle operazioni di mobilità su tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, ai fini dell’attribuzione dell’incarico triennale. Limitatamente agli anni scolastici 2015/2016 e 2016/2017, i docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno scolastico 2015/2016, anche in deroga al vincolo triennale sopra citato, possono richiedere l’assegnazione provvisoria interprovinciale. Tale assegnazione può essere disposta dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel limite dei posti di organico dell’autonomia disponibili e autorizzati. Per l’anno scolastico 2016/2017 l’assegnazione provvisoria di cui ai periodi precedenti può essere richiesta sui posti dell’organico dell’autonomia nonché sul contingente di posti di cui al comma 69 del presente articolo. Nel caso dovesse emergere una spesa complessiva superiore a quella prevista dalla presente legge, si applicano i commi 206 e 207 del presente articolo.».